Renzi: i grand commis mi hanno fatto la guerra

Renzi: i grand commis mi hanno fatto la guerra
di Matteo Renzi
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Domenica 16 Luglio 2017, 12:50
Il capitolo dedicato al difficile rapporto con la burocrazia romana del libro di Matteo Renzi Avanti (Feltrinelli, 240 pp, 15 euro)


Noi abbiamo una classe di burocrati migliore della struttura burocratica. Troppe cose sono bloccate da un sistema di veti e controveti assurdi. Una delle riforme più importanti che abbiamo approvato è quella di portare in Consiglio dei ministri la possibilità di sbloccare singoli veti espressi da singole sovrintendenze senza alcuna possibilità di verifca nel merito. Ma non sono pochi i burocrati, anche di alto livello, abituati a pensare che il politico passa, fugace, mentre il tecnico rimane, per sempre. E così i dirigenti del ministero dell'Economia mi guardano con occhio compassionevole quando nel marzo 2014 a Palazzo Chigi iniziamo le riunioni per l'operazione 80 euro e per il taglio delle tasse.

JEANS E CAMICIA
Li accolgo in jeans e camicia e saranno cinque giorni di analisi punto per punto, voce per voce, spesa per spesa. Ero abituato così, in Comune, con i miei dirigenti. Mettevo il naso dappertutto, facevo domande su qualsiasi dettaglio, chiedevo spiegazioni su ciò che non capivo. Insieme a Graziano Delrio portiamo il metodo dei sindaci nelle riunioni con i tecnici del ministero, dopo che per anni nelle riunioni dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani quegli stessi tecnici erano stati la nostra controparte in duelli interminabili, da cui il sistema dei Comuni usciva invariabilmente penalizzato. Adesso giochiamo con la stessa maglia e al quarto giorno di analisi del bilancio sto ancora interrogando uno dei più bravi dirigenti della Ragioneria di stato, di 41 cui diventerò grande estimatore, e che conosce ogni virgola del bilancio.

Cedo per un istante a un po' di umanità: «Dottore, da quanto tempo lavora per lo Stato?». «Dal 1987, presidente.» Provo a risalire nel tempo. «Dunque lei ha conosciuto i governi Craxi, Fanfani, Goria, De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema, ancora Amato, ancora Berlusconi, ancora Prodi, ancora Berlusconi, Monti, Letta e infne il sottoscritto.» «Be', non li ho conosciuti tutti, ma sì, questo è l'elenco giusto.» Violo il protocollo: «Uno rompiballe come me lo ha mai trovato? Dica la verità». «No, presidente. Mai.» Gelo in sala. L'autorevole dirigente del ministero ha dato del rompiballe al presidente del Consiglio. Non ci sono verbali a testimoniarlo, ma è probabile che non fosse mai accaduto prima nelle austere sale di Palazzo Chigi. Qualche secondo di stupore e poi iniziamo tutti a ridere.

I BARBARI
Da quella riunione gli stessi dirigenti che si sono messi al tavolo con noi usciranno più leggeri. Non solo perché capiranno che non siamo dei barbari, ma sindaci prestati alla politica romana, e quindi che anche noi sappiamo far di conto e operare scelte di bilancio, almeno quanto loro. Ma più leggeri anche in senso economico. Per fnanziare l'operazione 80 euro e per dare un segnale di equità propongo di introdurre per decreto legge una norma che mi piacerebbe defnire norma Olivetti: nella pubblica amministrazione italiana un superdirigente può guadagnare al massimo dieci volte quel che guadagna l'ultimo lavoratore. Il tetto massimo diventa dunque di 240.000 euro annui, e penso che sia una scelta doverosa in un momento in cui le disuguaglianze crescono e la forbice dell'ingiustizia si allarga. Guardo in faccia le persone che stanno intorno al tavolo nella sala riunioni del sottosegretario Delrio: ce ne sono almeno dieci che da questa brillante riunione usciranno con una media di 50.000 euro annui in meno. Molti ne capiscono le ragioni, e danno una mano. Ma è normale, fsiologico, che non tutti, tornando a casa la sera, ci rivolgano pensieri di gratitudine e affetto.

LA MINACCIA
Un dirigente pubblico designato in altri tempi mi ammonisce: «Guardi che con questi stipendi da fame noi andremo nel privato». Gli rispondo che evidentemente non conosce bene il signifcato dell'espressione stipendio da fame. Ma che se qualcuno nel privato lo paga di più e lui non riesce a lavorare con entusiasmo e senso di squadra insieme a noi, be', che si accomodi pure. «Quella è la porta, se vuole, non vorrei trattenerla oltre.»
Dopo tre anni possiamo dire che l'esodo dal pubblico al privato non c'è stato. E se qualcuno vuole guadagnare di più, lo faccia, se ci riesce. Chi si impegna nel pubblico può accettare la norma Olivetti, non muore nessuno. Non è solo questo il terreno di scontro con una parte del mondo burocratico della capitale. Consiglieri di stato che dipingono i forentini come barbari vengono avvistati praticamente in tutti i salotti. Personalità dell'Avvocatura dello Stato che in merito al ricorso in Corte Costituzionale sulle pensioni sembrano propendere per le tesi dei ricorrenti anziché del governo sono solo la punta di un iceberg. Nel sistema quieto e placido della burocrazia romana noi siamo stati un elemento di disturbo. Di frattura.

I BRINDISI
Brindano in tanti la notte della sconftta. Si brinda al Cnel, sicuramente, l'istituzione più inutile della storia repubblicana, salvata dal voto referendario e chiamata adesso a una nuova vita, con decine di consiglieri che per prima cosa rivendicano l'incostituzionalità del taglio delle indennità stabilite dal mio governo per decreto legge. Brindano negli uffci dove si festeggia lo scampato pericolo. Ma la questione politica di come essere più squadra, semplice e giusta, nella gestione della burocrazia rimane.