Strappo sulla sanità di Sardegna
e Friuli: pagano le altre Regioni

Strappo sulla sanità di Sardegna e Friuli: pagano le altre Regioni
di Luca Cifoni
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Lunedì 27 Febbraio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 15:36
Era stato uno dei principali risultati rivendicati dal governo - allora ancora presieduto da Matteo Renzi - durante la sessione di bilancio, lo scorso autunno. Per il 2017 la dotazione del Fondo sanitario nazionale sarebbe cresciuta da 111 a 113 miliardi. Una volta approvata la legge di bilancio e dopo l’avvicendamento a Palazzo Chigi tra Renzi e Gentiloni nelle prime settimane dell’anno è iniziata come di consueto la seconda fase, quella delle trattative tra le Regioni per dividersi le risorse disponibili, il cosiddetto “riparto”. Trattativa che si è conclusa nei giorni scorsi con discreta soddisfazione degli interessati ma anche con una piccola e non piacevole novità: il Fondo non arriverà a quota 113 miliardi ma si fermerà un po’ prima, poco sopra i 112,5.

I RISPARMI
Per la precisione, mancano all’appello 422 milioni. Il taglio applicato dal governo si è reso necessario per tappare un buco che con la sanità c’entra ma fino a un certo punto. Le risorse venute meno avrebbero dovuto mettercele Friuli e Sardegna, due Regioni a statuto speciale. Le quali però già dall’anno scorso non hanno accettato il contributo al bilancio pubblico che avrebbero dovuto pagare in forza della legge di Stabilità. Trattandosi appunto di enti a statuto speciale il dettaglio dei sacrifici doveva essere definito in specifiche intese con il governo, ma le due Regioni hanno scelto una strada diversa, contestando i tagli richiesti anche di fronte alla Corte costituzionale, in nome della propria autonomia. Stessa scelta fatta quest’anno rispetto alla legge di Bilancio per il 2017. La sanità assorbe gran parte del bilancio delle Regioni, sia di quelle a statuto ordinario che a statuto speciale e così accade frequente che i risparmi richiesti a questo livello della pubblica amministrazione si riflettano sulla spesa per la salute.

L’INTESA
Al governo quindi non è rimasta altra scelta che recuperare i 422 milioni tagliando la dote complessiva del Fondo e di fatto spalmando su tutti il sacrificio rifiutato da due Regioni. Il ministero della Salute ha fatto presente come questa procedura fosse specificamente prevista da un’intesa raggiunta un anno in Conferenza Stato-Regioni: di fatto una specie di automatismo. La vede in modo leggermente diverso Massimo Garavaglia, assessore al Bilancio della Lombardia e coordinatore dei suoi colleghi. A suo avviso, il governo avrebbe dovuto farsi carico direttamente di questa voce. Garavaglia ha fatto notare che di fatto dalla cifra complessiva del Fondo vanno tolti anche i 400 milioni che dovranno essere utilizzati per i rinnovi contrattuali, mentre uno dei 113 miliardi è vincolato, seppur ad una finalità molto importante: quella di garantire al servizio sanitario nazionale la possibilità di acquistare farmaci innovativi. Sottraendo dal conto anche queste risorse, si arriverebbe ad una somma solo di poco superiore ai 111 miliardi del 2016.

LE CONSEGUENZE
Quali saranno le conseguenze della sforbiciata? I 422 milioni in ballo sono una somma relativamente piccola rispetto al totale delle disponibilità del Fondo, anche se significativa rispetto all’incremento annuale previsto. Una presa di posizione allarmata è arrivata dal fronte sindacale. Cgil, Cisl e Uil, con i segretari confederali Rossana Dettori, Maurizio Bernava e Silvana Roseto, temono conseguenze per l’applicazione integrale del Lea, ovvero i livelli essenziali di assistenza, le prestazioni, recentemente ridefinite, che il servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini. Per questo i sindacati chiedono un incontro al ministro della Salute Beatrice Lorenzin.
Per il ministero della Salute invece non ci saranno effetti sui Lea. In una nota diffusa nei giorni scorsi, viene fatto notare che «il decreto recante i nuovi Lea ha adeguata copertura finanziaria, con l’imminente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale si potrà finalmente aprire una nuova era per tutti gli assistiti del Servizio Sanitario Nazionale».
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