Referendum lombardo-veneto, De Giovanni: «Può innescarsi un processo pericoloso, il Pd sbaglia a giocare solo di rimessa»

Referendum lombardo-veneto, De Giovanni: «Può innescarsi un processo pericoloso, il Pd sbaglia a giocare solo di rimessa»
di Mario Ajello
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Sabato 21 Ottobre 2017, 09:39 - Ultimo aggiornamento: 12:03
Professor De Giovanni, il referendum lombardo-veneto spacca l'Italia?
«Se devo dare una risposta netta, direi di no. Perché in fondo, se lo paragoniamo a ciò che accade altrove in Europa, a un primo sguardo questo referendum appare di gran lunga meno dirompente. È passato sotto traccia finora, e Roberto Maroni dice che la richiesta di maggiore autonomia regionale si muove dentro l'alveo costituzionale».

Da italiano si sente tranquillo, insomma?
«Non molto. Naturalmente queste cose hanno una potenzialità dinamica. Un eventuale successo del referendum, e mi riferisco al tasso di partecipazione che in questo caso è più importante che alle elezioni politiche e non penso al numero dei Sì che saranno ovviamente ultra-maggioritari, può diventare divisivo in questi tempi di caos in Europa. Nel senso che questo eventuale successo può spingere chi lo ha promosso a insistere ancora di più».

Di più verso dove?
«Si parte da una cosa che sta nei parametri di una certa normalità, ma poi ci si può avviare lungo un processo più pericoloso. Bisogna stare con le antenne ben alzate».

Qual è il punto di rottura secondo lei?
«Il cosiddetto dettaglio diabolico è il residuo fiscale. Cioè la differenza tra ciò che di tasse pagano la Lombardia e il Veneto allo Stato e ciò che ricevono come servizi. Questa la questione vera. Qui c'è l'elemento potenzialmente divisivo. Sono le regioni ricche e forti, vedi la Catalogna, quelle che insistono sull'aspetto fiscale. Se ogni regione si tiene il suo, si arriva alla fine dell'unità nazionale».

E' uno spettro che si aggira in tutta l'Europa?
«In buona parte del continente. Da noi, al posto del dualismo nord-sud, cui siamo abituati quasi da 200 anni, si avrà il monoteismo: ognuno per sé e il Bambin Gesù per tutti, come dice la favola».

Quindi non è un referendum inutile?
«Non è inutile affatto. Innanzitutto, si inserisce in quel contesto di frammentazioni generali di cui dicevo e rischia di rafforzarlo. E poi, serrare i propri elettori all'interno dei confini regionali ha il senso di dire: abbiamo capito i limiti della rappresentanza politica nazionale. Cioè della democrazia parlamentare».

Sta dicendo allora che è una consultazione eversiva, sia pure costituzionalmente ammessa?
«Questo referendum è anche legato a quella che, secondo me impropriamente, viene chiamata anti-politica. C'è dentro tanta roba in questa iniziativa. Tra cui la protesta contro quella che viene comunemente indicata come casta romana o centralista. La Lega ha cambiato le sue parole d'ordine. Ma se il referendum avrà un gran successo, significa che vengono ancora molto sentite in quelle regioni il nordismo e l'idea del non vogliamo pagare per gli altri».

Quindi la questione settentrionale ricomincia?
«Non esistono più, come in passato, questione settentrionale e questione meridionale. Ci sono le questioni regionali. Come Berlusconi, con la sua solita intelligenza, ha subito capito. Dice che ogni regione dovrà avere la sua autonomia. E così, parlando di regionalismo, orienta il rapporto con Salvini, cercando di evitare i temi, come l'Europa, che più lo dividono dal leader leghista».

Ma Berlusconi non è sembrato assente in questa partita?
«Ne ha capito l'importanza politica, per quel che lo riguarda. Il referendum, per il leader di Forza Italia, è una via laterale importante, per cementare la nuova alleanza. Diamo autonomia alle regioni è la chiave per una saldatura nel centrodestra».

E il Pd, che è il suo partito?
«Gioca di rimessa su questo tema. Non si fa la guerra al referendum e si invita, non lo fanno tutti ma solo alcuni sindaci come Sala e Gori e alcun esponenti di partito, anche a votare Sì».

Non è un errore questo atteggiamento?
«È sbagliato mettersi sotto vento, come se questa fosse una consultazione non importante. I grillini mi sembra che abbiano colto un po' meglio le implicazioni di questa vicenda. Sono favorevoli al referendum, in quanto fa parte dell'orizzonte di quella democrazia diretta che loro propugnano. E allo stesso tempo, questa consultazione piace ai cinque stelle, perché titilla e accarezza quella che fin qui abbiamo chiamato anti-politica».
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