Sulla chiarezza dei testi riportati sulle schede elettorali in occasione dei referendum si è a lungo ironizzato, ma gli ultimi quesiti - a cominciare da quello sulle trivelle della scorsa primavera - le frasi con la lunga sequela di leggi e parti di esse da abrogare sono state accompagnate da un distico superiore in grado di rendere il quesito il meno leguleio possibile. Che ora si voglia mettere sulla scheda un testo che faccia comprendere poco e male all'elettore, risulta paradossale.
Diverso sarebbe se sulla scheda si indicassero materie non pertinenti con la riforma. Resta o non resta il Cnel se passa il "sì". Mutano le competenze delle Regioni? Finisce il bicameralismo perfetto?
La riforma costituzionale che il 4 dicembre verrà sottoposta a referendum tocca 42 articoli della Carta su 139. Mettere tutto in una scheda sarebbe difficile a meno che non si vuole stampare e consegnare al lettore una scheda-lenzuolo dalle gigantesche dimensioni.
Tramontata anche l'idea, avanzata tempo fa dai Radicali Italiani di procedere a più consultazioni spacchettando la riforma, non è rimasto che produrre una sintesi comprensiva in modo evitare gride manzoniane in grado di confondere anche l'elettore più informato.
Una chiarezza che ora sembrano temere i ricorrenti e che mostra forse qualche minore certezza da parte del fronte del "No" sull'esito finale della consultazione. Si preferisce, sostengono i ricorrenti, inserire nel testo una lunga sequela di articoli e commi che al cittadino poco dicono. Discorso diverso, e in questo caso i ricorrenti potrebbero avere ragione, se nel quesito sono poste materie che non riguardano del tutto la consultazione.
Il ricorso al Tar ha però un indubbio risvolto positivo: contribuire a far entrare finalmente il dibattito nel merito della riforma.
Marco Conti
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