Dopo i referendum/ L’illusione federalista e il silenzio dei partiti

di Paolo Balduzzi
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Lunedì 26 Febbraio 2018, 00:30

Mancano pochi giorni alle elezioni politiche e regionali, poco più alla fine naturale del Governo in carica. E finora nessuna forza politica ha mai speso una parola per chiarire la sua posizione su un tema che fino a pochi mesi fa ha acceso animi e dibattiti: il federalismo. Eppure di argomenti da affrontare ce ne sarebbero molti. O forse è proprio per questo motivo che nessuno si vuole sbilanciare: meglio promettere ciò che non si potrà mai mantenere e illudere l’elettorato piuttosto che impegnarsi su un tema che, deve essere chiaro, riguarda ogni singolo cittadino italiano.

Alcuni degli interrogativi hanno valenza generale, anzi sono specifici e relativi ad ogni diverso livello di governo. Partiamo dai temi generali. Come è possibile per le forze politiche promettere il contenimento della spesa e la riduzione del debito pubblico senza spendere una parola sul ruolo delle amministrazioni locali? Negli anni della crisi economica, Comuni e Regioni hanno pagato un prezzo elevatissimo in termini di riduzione delle risorse e vincoli sul proprio operato, ma di certo non sarà possibile prescindere da essi quando la spesa sarà ulteriormente razionalizzata. 

E cosa dire delle risorse? Se davvero verrà ridisegnata l’Irpef, con il taglio delle aliquote e la revisione degli sconti fiscali ad essa collegati, ciò avrà un impatto gigantesco sui bilanci locali e regionali. 
Bilanci finanziati ad oggi in maniera non irrilevante dal gettito delle addizionali proprio all’Irpef. 

Come è possibile che nessun sindaco e nessun presidente di Regione abbia posto la questione ai leader di partito che fanno queste promesse? Forse perché nessuno ci crede davvero che l’Irpef diminuirà? Più nello specifico, invece, cominciamo dai Comuni: da due anni i maggiori tributi locali sono congelati e i sindaci non possono far leva sulla fiscalità locale per finanziare spese e progetti per il proprio territorio. E fatica ad emergere un progetto nazionale coerente ed ordinato sul tema più caldo per le amministrazioni locali, vale a dire quello di unioni e fusioni di comuni, forse l’unico vero meccanismo che permetterà, nel lungo periodo, economie di scala e risparmi di spesa strutturali. 

E cosa pensare poi del silenzio sulle Province e sulle Città metropolitane? Le prime, svuotate di ogni competenza e risorsa dalla legge Delrio, dovevano sparire con il referendum fallito del 2016. Ora sopravvivono, in attesa di un legislatore con le idee chiare. Che fine faranno, quindi, le Province con la nuova legislatura? 
E concludiamo con le Regioni. A metà dello scorso ottobre, in Lombardia e Veneto si sono tenuti due (inutili) referendum per chiedere maggiore autonomia. Si è trattato di un’operazione elettorale che ha impiegato ingenti risorse locali e per cui i due presidenti, Maroni e Zaia, si sono spesi in prima persona. Queste due regioni, insieme all’Emilia-Romagna, che però più saggiamente non ha organizzato alcun referendum, hanno nei mesi seguenti intavolato delle trattative col Governo, con l’obiettivo mai negato di arrivare a un’intesa condivisa da sottoporre al prossimo Parlamento. 

Si tratta di tre Regioni dove vivono quasi venti milioni di persone, un terzo della popolazione italiana. Lungo il percorso, altre Regioni si sono unite (Liguria e Piemonte, vale a dire altri cinque milioni di italiani) e altre hanno dichiarato di volerlo fare. Ebbene, questi lunghi lavori, queste impegnative trattative, la conseguente intesa ormai raggiunta, sembrano essere ormai dimenticati da tutti: da chi la deve sottoscrivere, in primo luogo, ma con grandissimo stupore anche da tutte le forze politiche a livello nazionale, visto che il nuovo Parlamento, se sarà firmata in tempo, dovrà votare su questa intesa; per non dire delle forze politiche che concorrono alle elezioni regionali. 

In Lombardia, Gori, candidato del centrosinistra che sostenne il referendum, e Fontana, leghista come Maroni, cosa pensano di questa intesa? E Zingaretti, Parisi e Lombardi: pensate che il Lazio sarà pronto a intraprendere un procedimento di potenziamento della propria autonomia o si accontenterà di restare una “ordinaria Regione a Statuto Ordinario”?

Il Paese, già diviso a livello economico, rischia di dividersi ulteriormente: le Regioni a Statuto Speciale nella fascia alpina, le Regioni che hanno negoziato maggiore autonomia al nord, e le altre Regioni a Statuto Ordinario al centro-sud. L’unità del Paese dovrà essere perseguita non certo affossando gli sforzi e i tentativi delle regioni più ambiziose, ma impegnando se stessi e il proprio territorio per provare a compiere quel passo in più. Chi è pronto a questo passo? Senz’altro anche questa, come tutte le altre, rimarrà una domanda senza risposta
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