Quei semi piantati dai ragazzi di Hong Kong

di Ennio Di Nolfo
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Sabato 4 Ottobre 2014, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 00:15
Per capire il senso pi profondo dell’agitazione che da giorni caratterizza la vita di Hong Kong (un agitazione pacifica e realistica, ben diversa da quella alla quale sono abituati i black bloc e i contestatori pi o meno violenti che si possono vedere in Occidente o i giovani dabbene che, protetti da Erasmus, devastano varie citt italiane) necessario guardare in termini pi complessi al problema, che esprime un aspetto del frenetico mutamento cinese.



Un anno fa, mentre si organizzava per accentrare su di sé tutte le cariche politiche più importanti, il premier Xi Jinping annunciava una vera rivoluzione economica che avrebbe liberato il sistema da gran parte dei vincoli che lo limitavano proiettandosi verso un avvenire di crescita e potenza. Rendere la Cina un Paese moderno, anche a costo di ridiscutere norme interne al dominante e unico partito esistente, quello comunista cinese, significava eliminare i dissensi (la vicenda dell’epurazione di Bo Xilai, potente sindaco di Chongqing e rivale di Xi, ne fu l’anticipazione più clamorosa), per mostrare i successi.



Successi che ci sono stati. Basti tenere presente che la possibilità di usare il renminbi (cioè la moneta cinese) per gli scambi quanto meno nell’Asia orientale è stata anticipata, in questi giorni, di molti anni rispetto al previsto 2020. Ma per raggiungere questi risultati Xi deve avere alle spalle un Paese pacifico in tutte le sue regioni, anche le più remote o le più irrequiete.



Poiché un dissenso esplicito riguarda tutta la Cina, soprattutto quando si manifesta a Hong Kong. Vale la pena di tenere presente che al momento della cessione alla Cina dell’antica colonia britannica, l’accordo, noto sotto la definizione di “un Paese, due sistemi”, creava un regime che per un ventennio garantiva a Hong Kong una larga autonomia: scuole di tipo britannico, magistratura indipendente, pluralismo politico e un’apparenza democratica nella formazione degli organi di governo.



Apparenza poiché il capo del governo della città (oggi Leung Chun-ying) è designato da un comitato elettorale e non eletto dal popolo. Il che, del resto, non cambierebbe molto le cose, dato che la gran parte del circa 7/8 abitanti delle isole che compongono la città è abitato da cinesi leali a Pechino.



La portata delle manifestazioni giovanili (o meno) che da alcuni giorni portano il Paese in prima linea nella cronache è dovuta alla concomitanza di tre elementi: il primo è dato dal fatto che le elezioni per il nuovo governo, che sarebbero dovute aver luogo nel 2017, verrebbero tenute sempre con un sistema poco trasparente e forse anticipate con uno pseudo suffragio universale. Il secondo è il fatto che Hong Kong è uno dei principali centri finanziari del mondo e la città più ricca e più libera di tutta la Cina.



Il terzo aspetto è quello più clamoroso, ed è rappresentato dal rifiuto dei giovani più politicizzati, in gran parte, ma non solo, studenti, più attenti ai media occidentali, più ansiosi di godere di maggior libertà, anche senza essere per preconcetto ostili al regime di Pechino, rifiutano decisioni imposte dall’alto. E’ un rifiuto che non assomiglia né a ciò che avvenne in piazza Tienanmen, né a ciò che accade in altre parti del mondo, poiché esso si esprime in una manifestazione tacita e precisa, che chiede pacatamente ma fermamente le dimissioni del capo del governo ed elezioni meno unilaterali.



Queste manifestazioni sono indubbiamente l’espressione di una minoranza (già vi sono state proteste e scontri poiché esse impediscono il regolare andamento della vita economica) ma per il modo secondo il quale si svolgono (sebbene usino la definizione di Occupy central) e per la giustezza di ciò che esse richiedono, non hanno eguali altrove. Dureranno finché Xi Jinping, che non può permettersi di vedere tanto disordine nella capitale finanziaria del suo paese, non farà qualche concessione, almeno tale da apparire accettabile per la “protesta degli ombrelli” (come viene chiamata).



E’ ragionevole prevedere che egli voglia un compromesso. Tuttavia il compromesso non cancellerà il seme che è stato piantato, poiché le vicende di Hong Kong, che la popolazione cinese non conosce se non per allusioni o ambigue accuse, diverranno gradualmente il seme di trasformazioni future con le quali Xi Jinping o un suo successore dovrà fare i conti.