Prodi si sfila: «Sono fuori». Gelo tra Renzi e Pisapia

Prodi (Ansa)
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 15 Giugno 2017, 11:30 - Ultimo aggiornamento: 20:56
Da una parte Pier Luigi Bersani annuncia che «il treno di Pisapia è partito ed è l'ultima chiamata per il centrosinistra e per arginare il ritorno della destra», ma i vagoni principali del convoglio non sembrano ben agganciati. Tutt'altro. Vada per il vagone renziano, che non è particolarmente gradito da quelle parti, anche se qualcuno non disdegnerebbe di agganciarvisi, «non è Renzi il nemico», dicono dalle parti pisapiesche, a cominciare dall'ex sindaco di Milano. «Il primo luglio non vado da Pisapia, non sono stato invitato, e comunque ho l'assemblea dei circoli del Pd e la sera vado ad ascoltare Vasco», ha annunciato Matteo Renzi (Vasco, fra l'altro, è il preferito di Bersani). Non è una rottura, ma neanche un avvicinamento: qualcosa di meno di un addio, che non preclude a possibili abboccamenti in futuro, anche se, in effetti, l'impresa di Pisapia sembra ormai in marcia in chiave non alternativa, ma concorrenziale al Pd renziano.

Il fatto è che su ben altro vagone si faceva affidamento dalle parti pisapiane, quello di Romano Prodi. «Se Prodi scende in campo ci metterei la firma», aveva detto speranzoso Pisapia la sera prima. Ma ecco che dal Prof leader dell'Ulivo e fondatore del Pd giunge la doccia fredda: «Io sono un pensionato, anzi, un pensionato felice», ha scandito Prodi ai giornalisti prima di partecipare alla presentazione del suo libro. Quindi ha spiegato che tutti coloro che lo hanno o lo stanno tirando in ballo «si sbagliano», che l'Ulivo «non tornerà», che lui «non sarà candidato premier» e che sempre lui, Prodi, «non è l'unico in grado di unire il centrosinistra».

IL LAVORIO
Se a tutto questo si aggiunge che, nonostante le pressioni e gli inviti, il Professore non si farà vedere alla manifestazione di lancio del Campo progressista di Pisapia il primo luglio, si può concludere che il convoglio è sì ormai partito, ma il vagone prodiano assai difficilmente si aggancerà.

Raccontano di un accorto e vigilante lavorio di Arturo Parisi, sempre attento a distinguere le ragioni politiche da quelle personali, e tra le prime il professore sardo ha sempre fatto presente che «non si capirebbero le ragioni di una intesa assieme a quelli che hanno sempre remato contro l'Ulivo e la prospettiva stessa del Pd», e quando dice queste cose ogni riferimento a D'Alema è voluto e cercato.

LE POSSIBILITÀ
Nel contempo, Renzi si mostra freddo nei confronti del predecessore di Sala a Milano. L'invito a un rapporto politico ed elettorale non viene meno, rimane, ma viste le risposte ricevute finora, assieme alla percezione che in effetti «il treno è partito», il leader del Pd non fa più di tanto per coltivare il rapporto. Le alleanze possibili? Si fanno sui programmi, insiste Renzi, ed elenca proprio quei temi in parte già cavalcati anche da Pisapia (referendum, jobs act, temi che la sinistra più a sinistra rinfaccia allo stesso ex sindaco di Milano), in parte oggetto principale della campagna elettorale, quando sarà, nonché punti centrali della sinistra riformista di marca renziana: le tasse e la Ue. Dice Renzi a mo' di sfida: «L'alleanza si fa sui contenuti, non sui nomi. Quali contenuti? Tasse su o giù, numeri del jobs act, stare in Europa con una linea di flessibilità o di austerity». Quanto a Bersani, «se ne sono andati dal Pd per non fare le primarie».
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