Uomo di confine/La soluzione del Presidente è già scritta nella sua storia

di Mario Ajello
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Venerdì 9 Dicembre 2016, 00:05
Ci sono momenti, quasi tutti ma alcuni in maniera speciale, in cui un libro diventa la guida quotidiana per una persona sapiente. Il breviario di Sergio Mattarella, per sua stessa ammissione, è sempre stato l’«Umanesimo integrale» di Jacques Maritain. E questa cassetta degli attrezzi, oltre a tutto il resto della sua esperienza di politico e di studioso impastato di realismo mite ma perseverante, sta ispirando il Capo dello Stato. In questa prima crisi di governo del settennato che, secondo una battuta circolante, e inesatta, comincia proprio con il difficile cimento di dare una soluzione di governo all’Italia dopo lo tsunami referendario. Da quel libro prediletto, Mattarella, l’arbitro a cui «compete la puntuale applicazione delle regole e che dev’essere e sarà imparziale» (come disse nel discorso d’insediamento il 3 febbraio del 2015), attinge la sua avversione per patologie di moda come la faziosità ideologica e come certo deteriore machiavellismo, che è moneta corrente negli attuali partiti e che egli giudica nemico del «bene comune».

La condotta di Mattarella in questo passaggio, in cui si cerca di creare tra i partiti una collaborazione a termine per obiettivi limitati nel tempo, non risulta affatto improntata a quel «carisma passivo» che gli si è spesso attribuito come difetto e somiglia invece a quel «festina lente» di cui parlava Orazio. 
Un affrettati con lentezza. Una ponderazione vecchio stile che, nel Paese delle rottamazioni che producono anche macerie, contiene qualcosa di nuovo. La Formula Mattarella è quella del non proporre soluzioni ai partiti ma di sollecitarle per poi cercare una sintesi. E infatti si racconta che nella tarda mattinata di lunedì 5 dicembre, all’indomani del diluvio dei No, nel primo colloquio tra Mattarella e Renzi, quest’ultimo gli abbia detto: «Presidente, mi dica lei che cosa devo fare». E lui: «Piuttosto, spetta a lei dirmelo». 

ANTI-BAROCCO
Questo tipo di approccio rappresenta un’attenta lettura e applicazione della grammatica costituzionale, in controtendenza rispetto ai barocchismi di altre fasi e di altre crisi. Si pensava che l’Italia dovesse arrendersi alla doppia tendenza del nuovismo esuberante e divisivo da una parte e del nullismo demagogico dall’altra parte. E invece la Formula Mattarella scompagina i giochi non riportando indietro l’orologio della politica alla Prima Repubblica, come superficialmente si sente dire, ma proponendo una lezione che rimanda ai giorni in cui Mattarella venne eletto al Quirinale.


Il giorno del battesimo da presidente vollero chiamarlo come un Papa palermitano del settimo secolo: Sergio I. Una scelta scherzosa, ma laicamente profetica. Quel pontefice è infatti ricordato per la cultura e il carattere forte, ma non autoritario, e perché ricompose controversie e discordie. Nell’Italia delle partigianerie e degli steccati apparentemente insormontabili, Mattarella è un tipo fusion. Figlio della Prima Repubblica, e poi nella fase finale di quella storia diventato creatore del Mattarellum che fu strumento di innovazione e di fuoriuscita da un sistema collassato, l’attuale presidente è «uomo di confine» - così è stato definito a inizio settennato proprio sulle colonne del Messaggero - particolarmente adatto a maneggiare questa crisi. Che è una crisi di sistema, e non soltanto un collasso governativo causato dal referendum, e un vero e proprio passaggio storico.

Se è vero - come probabilmente è vero, ma i modi si decideranno e anche su quelli il realismo felpato di Mattarella inciderà - che dal maggioritario che è stato il cardine dell’ultimo ventennio si arriverà a un proporzionale più o meno corretto, che non potrà essere la riproposizione vintage del passato ma un congegno al passo con i tempi. 
Mattarella è «uomo di confine» anche nel senso che sente fortemente il valore di appartenenza alla sua cultura politica del cattolicesimo democratico e della storia democristiana confluita nel Pd, ma allo stesso tempo - e riecco Maritain - è quello che ha saputo dimostrarsi custode dei valori in cui tutti si riconoscono. Tant’è vero che Berlusconi, il quale non lo votò e sull’elezione del Capo dello Stato ruppe il Patto del Nazareno con Renzi, non solo non lo ha mai attaccato ma in questi giorni non fa che sottolinearne l’«equilibrio», la «saggezza», l’assoluta «affidabilità». E anche se lui non lo dice, molti dei berlusconiani, fanno capire che Silvio sarebbe pronto a un governo di unità nazionale, se a quello si arriverà. 

ALTERNANZA 
Perfino i leader più estremi, da Grillo a Salvini, alla Meloni, non hanno mai dato l’assalto all’inquilino del Colle. Il cui ossequio, non retorico, alle regole unanimemente riconosciute e la sua identità di personaggio di frontiera possono risultare la garanzia che evita il vecchissimo gioco dei ribaltoni (Oscar Luigi Scalfaro fu l’integralista della cultura faziosa in falsa buona fede che introdusse il ribaltone violentando la grammatica democratica), degli inciuci, delle larghe intese purchessia. Quelle in cui si annacquano le identità dei partiti, per creare l’opaca melassa del do ut des della politica politicante. Che è poi l’opposto di ciò che, nel bene e nel male, ha prodotto la legge elettorale Mattarellum che è espressione giuridica della natura del suo inventore. Un sistema in cui ognuno resta quello che è e che permette a turno di vincere agli uni (Berlusconi, più volte) e agli altri (Prodi, più volte). Se le cose vengono fatte bene, insomma, garantiscono tutti e producono alternanza. E così potrà essere anche, se il «festina lente» non viene aggredito dalle intemperanze partigiane, per la legge elettorale proporzionale ma corretta che forse verrà favorita dalla decisione della Consulta sull’Italicum a fine gennaio. 

IL PAESE REALE
Intanto in questi due anni di presidenza Mattarella è riuscito - e il terremoto nel Centro Italia è stato un test macroscopico della sua capacità di sintonizzarsi con il Paese reale, le sue difficoltà le sue sofferenze anche terribili - ad acquisire una fisionomia che lo rende non assimilabile, agli occhi degli italiani, al detestato establishment. E infatti, il grado di fiducia dei cittadini nei suoi confronti è molto alto. Questa popolarità del personaggio lo rende ancora più attrezzato a muoversi come crede e come sa in queste ore cruciali. Nelle consultazioni appena cominciate, nonostante dovrà incontrare 23 delegazioni di 23 partiti, certamente non capiterà di scorgere Mattarella nel gesto, rarissimo, con cui avverte che sta per perdere la pazienza e che è questo: si porta le mani agli occhialini e cerca di aggiustarseli sul naso.

Da una parte, ha l’insistenza della goccia che cade. Dall’altra, e Renzi lo sa, una riluttanza a manovrare. Il tutto avvolto in un singolare attivismo in cui Mattarella fa parlare anche il suo vasto silenzio. E far parlare il silenzio non è soltanto del carattere dei siciliani ma una prerogativa della carica se incarnata da un tipo così. Il quale si muove sulla base di una bussola che esclude, se è possibile, la via delle elezioni subito. Ma non per un capriccio anti-democratico o per un pregiudizio anti-popolare. Semmai, per dare alla parola del popolo tutta la sua valenza e la sua sovranità, che sono tanto più forti quanto più sono precise le norme elettorali con cui in tempi sperabilmente non lunghi si andrà alle urne. Votare con leggi sbagliate e contraddittorie tra Camera e Senato, figlie del caos e incapaci di garantire governabilità, secondo l’uomo delle regole sarebbe un furto - questo sì, di democrazia. Anche se, naturalmente, questa è un’espressione forte che Sergio Il Calmo non pronuncerebbe mai. 
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