Politica senza radar/Il narcisismo che alimenta il rancore dei giovani

di Marco Gervasoni
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Lunedì 4 Dicembre 2017, 00:05
«Il risentimento è un persistente sentimento di odio e di disprezzo», la sensazione di un’«incurabile impotenza» che conduce a «falsi giudizi morali» e a «fanatiche eruzioni di richieste di verità, prodotte dal senso di impotenza». Parole del filosofo tedesco Max Scheler. Usate per illustrare la condizione dell’uomo europeo, due anni avanti lo scoppio del primo conflitto mondiale, sono oggi ancora adatte a quello odierno, immerso in uno stato di guerra mentale. 
Sostituiamo la parola «risentimento» con quella di «rancore» e ci troveremo infatti nell’ultimo rapporto Censis. Il rancore diffuso nella nostra società è il risultato del blocco della mobilità sociale, è la convinzione, soprattutto del ceto medio, di non poter migliorare il proprio status, senza che vi possano aspirare neppure i propri figli. Nascono fenomeni nuovi per la società italiana come l’«ingenerosità» e il «nuovo protezionismo sociale». Sui sintomi della malattia il Censis ha colto nel segno, se ne devono però discutere le diagnosi. 
Il rancore non ci sembra infatti solo figlio del disagio economico, forse le radici sono più complesse, e vanno cercate nel tramonto di un modello culturale (europeo) che affondava nei secoli e nello spaesamento prodotto dall’accelerazione dei rapporti di mercato. Questa società del rancore è infatti anche quella del narcisismo: che colpisce tutti, ma in modo particolare i giovani.

I loro valori, ci spiega di nuovo il Censis, sono diversi da quelli delle generazioni precedenti: prevalgono ora i social network, lo smartphone, la cura del corpo e il selfie. I ricercatori non legano tra loro rancore e narcisismo di massa; ma per noi i due aspetti sono profondamente intrecciati. Siamo ormai passati dalla società individualistica degli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso a quella del narcisismo di massa, già intravista dal geniale saggista statunitense Christopher Lasch in un profetico libro del 1979: intitolato appunto la Cultura del narcisismo. 
La società del narcisismo incrementa il rancore, proietta sempre più oltre le aspettative e i desideri, senza poterli soddisfare neppure nei momenti di crescita, figuriamoci in quella di risacca economica come questi. La società narcisista produce poi invidia che, come scriveva sempre Scheler, conduce l’uomo del rancore a dire: «posso perdonarti tutto; eccetto di essere quello che sei». Sbaglierebbe la classe politica a fare viso da Budda alle diagnosi Censis e, più in generale, a quelle delle scienze sociali. 

Il narcisismo rancoroso, diffuso soprattutto tra i giovani, induce infatti ad almeno quattro comportamenti. 1) produce apatia politica che si concretizza nell’astensione, nel voto alle forze anti-sistema o (in misura per ora ridotta), nella partecipazione a fenomeni variamente nostalgici, vedi i cosiddetti neofascisti e neonazisti, che sembrano essere diventati la principale emergenza nazionale. 2) Genera l’indebolimento di qualsiasi tessuto comune e di ogni progetto di condivisione: non c’è da sorprendersi se oggi tutti i partiti, movimenti o liste finiscono per voler essere identificati come personali, e così in ogni caso sono percepiti dai cittadini: il leader è sempre solo, e questo non è mai una buona cosa. 3) È la fine della cultura del dialogo, uno dei capisaldi dell’identità occidentale: se la comunicazione prende forma, anche in politica, modellandosi solo sui social finisce per enfatizzare sempre l’io, a detrimento dell’ascolto dell’altro, e conduce ad enfatizzare: è l’urlo del risentimento. 4) Diventa arduo, se non impossibile, proporre un messaggio fondato sul bene comune o almeno su un patto tra gruppi sociali, in cui peraltro nessuno più si riconosce. 
Da qui la tendenza della politica a esaltare proposte palingenetiche, a proporre un “change” rapido e veloce come un click o un selfie, salvo poi non poterlo mantenere: finendo così per esacerbare ancor più il rancore. Ci sembra di aver intravisto i caratteri della vicina campagna elettorale. Chissà se c’è ancora tempo per invertire la rotta.

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