Politica e giudici, la visione giustizialista distorce la società

di Cesare Mirabelli
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Venerdì 22 Aprile 2016, 23:58
Ancora una volta è la giustizia a tenere il campo, o meglio il tono acuto di una polemica aperta dal nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati nei confronti di leggi sgradite e del mondo politico, che sarebbe popolato da corrotti impenitenti e sfacciati, in un contesto peggiore di quello messo a fuoco nel periodo eroico di “mani pulite”.

Se fossero le personali opinioni, del resto non nuove, di uno dei magistrati protagonisti di quella stagione, non ci si potrebbe sorprendere. Ma si tratta delle prime dichiarazioni pubbliche di chi, per il ruolo associativo ricoperto, sembrerebbe chiamato a dare voce unitaria alle opinioni della “magistratura associata”. Se questa è la linea della associazione, le perplessità che si possono avere per affermazioni tanto pesanti, diventano preoccupazione, sia per come viene impropriamente descritta la realtà del Paese e delle istituzioni, sia per la concezione del ruolo della magistratura che esse manifestano.

Contrastare una visione generalizzante, che considera le istituzioni e la politica come il terreno di coltura della corruzione, non significa affatto esprimere tolleranza nei confronti di questo fenomeno delinquenziale. Significa piuttosto rifiutare di considerare chiunque si dedica, spesso con limpido impegno, alla cosa pubblica un potenziale malfattore. O peggio un malfattore non ancora scoperto. Questo, naturalmente, non vale solo per la categoria dei “politici”.

È sempre una concezione deviante e pericolosa considerare il cittadino un sospettato da trattare come “giudicabile”, e questo vale anche per politici e amministratori.

Non può che condividersi con decisione la necessità di combattere ogni fenomeno corruttivo, sia esso di piccole o di grandi dimensioni. Ma occorre anche ricordare che la risposta efficace non è riservata e ristretta all’azione penale, destinata a salvare la società dai corrotti. Anzi, una organizzazione della pubblica amministrazione che ne assicuri il buon andamento, e regole semplici ed efficaci che ne disciplinino l’azione, costituiscono lo strumento essenziale di prevenzione della corruzione.

Nell’ambito della legislazione penale sono state di recente introdotte dal Parlamento nuove figure di reato, che hanno esteso ampiamente l’area dei comportamenti penalmente rilevanti ed istituito un apposita autorità di contrasto, in rispondenza anche a convenzioni internazionali. Né mancano gli strumenti per una azione incisiva della magistratura orientata a individuare e colpire corrotti e corruttori.

Le intercettazioni telefoniche, rivendicate dalla magistratura come strumento essenziale per le indagini, sono ora disposte con una larghezza sconosciuta ad ogni altro paese, ed i contenuti spesso vengono diffusi al di là delle esigenze del processo.

Il processo, appunto. Non è il terreno di lotta tra magistrati che rappresentano il bene, con il sostegno di una tifoseria popolare, e accusati che incarnano il male e cercano di farla franca. E chi è assolto non è un malandrino più furbo o fortunato, ma un innocente non di rado inutilmente processato. Constatare quante azioni penali promosse con clamore si siano concluse con una assoluzione dovrebbe far riflettere.

La magistratura richiama spesso, e giustamente rivendica, la “cultura della giurisdizione”. Ma questa rischia di essere una formula vuota, se si ha una visione tutta penalistica della realtà sociale e delle istituzioni, quale traspare dalla intervista che apre, da parte di chi rappresenta la magistratura associata, una fase polemica verso le istituzioni politiche. È bene che questa ascia di guerra sia presto sotterrata, per trovare quella convergenza tra istituzioni politiche rappresentative e magistratura necessaria per contrastare efficacemente la corruzione.


 
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