Pd, arriva Renzi: voglio un governo che fa
E vara la segreteria di giovani

Pd, arriva Renzi: voglio un governo che fa E vara la segreteria di giovani
di Mario Ajello
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Martedì 10 Dicembre 2013, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre, 00:02

​Appena sveglio, lo ha chiamato il presidente Napolitano: Ti faccio i miei complimenti, un risultato straordinario. Grazie, presidente. Ecco come comincia il primo giorno di Matteo Renzi da segretario del Pd. Poi si parte per Roma. Il solito treno? No, stavolta ci sono troppi giornalisti in giro. «Il treno è più comodo e si parla con la gente», spiega Matteo. E lo prenderà tante altre volte. Ora, con l’amico e deputato Bonifazi, sale in auto. E arriva a Roma, destinazione Nazareno, obiettivo: l’inizio dell’éra Renzi alla guida del Pd. La sua presa di possesso - «Ma non chiamiamola così, non sono mica Matteo il Conquistatore!» - della sede del partito. «Non siete tutti obbligati a tifare Fiorentina», è la prima battuta che gli viene, prima di entrare nell’ascensore che lo porta nella stanza che sarà sua, al secondo piano, e che ora è di Epifani che sta facendo gli scatoloni come altri lì dentro che non hanno votato Matteo e che sperano in Enrico Letta prima o poi come colui che li libererà dal vincitore attuale. C’è chi, orfano di Bersani, versa qualche lacrima (non di gioia) per il destino cinico e baro che ha dato il trionfo a Matteo. Ma non c’è aria di conflitto aperto. Oggi. Lo stesso Renzi fa di tutto per non sembrare arrembante. Tranquillizza. Non infierisce durante la conferenza stampa contro il governo Letta. Anzi, «la sfiducia non è all’ordine del giorno. Letta deve andare avanti». E sembra già cambiato Matteo, nelle vesti di leader di partito, è più diplomatico, svicola dalle domande più insidiose, lui che di solito affronta tutto a petto in fuori. Una riunione con Epifani in modalità semi-trasloco. Poi si aggiunge Cuperlo. Ci sono anche Delrio, Luca Lotti, Bonifazi e Nardella: fedelissimi di Matteo. Il quale a un certo punto vuole stare da solo.

Si chiude in una stanza, mentre nel corridoio c’è qualche dipendente che trema: sta facendo la lista di chi resta e di chi se ne va? No, sta telefonando ai prescelti per la segreteria - sette donne e cinque uomini, età media 35 anni - e la scelta dei fortunati è stata pesata sul bilancino degli equilibri interni. Un premio ai franceschiniani si poteva negare? No. Nella stanza da solo, Matteo chiama uno a uno i membri del suo dream team. «Pronto?», dice con voce impostata che forse nelle sue giocose intenzioni dovrebbe somigliare a quella di Palmiro Togliatti: «Sono il segretario generale del Partito Democratico, Matteo Renzi». Pausa. Risatina: «Ehi, sono Matteo, te la senti di entrare in segreteria con me?». Vuole una segreteria che sia subito operativa, e fa le cose in fretta il leader. Lo stesso che, poi, dirà, ma non a proposito del partito: «Voglio un governo che fa, non che cada». Questo si vedrà, e dipende anche da lui. E intanto, avrebbe preferito che anche cuperliani e giovani turchi entrassero in segreteria. Ma quelli gli hanno detto di no. «Segno che vogliono darci battaglia», gli dice Nardella quando i due lasciano il Nazareno: «Che cosa fanno, un nuovo correntone?». Che sarà battaglia non c’è dubbio, e Matteo è pronto. Intanto, se volesse infierire, attraversando il terrazzo del Nazareno potrebbe dire ai funzionari presenti: «Non è questo il luogo dove avete fatto il famoso balletto su Bersani che smacchia il giaguaro?».

L’ANGELO CUSTODE

Come autista e uomo ombra, quando starà a Roma e non ci starà molto («Vado, vengo, ci sono i telefoni e i tablet, sarò un segretario molto digitale»), può contare su Mario, capo della vigilanza del partito e già al fianco di Occhetto e di altri leader. «Ti avverto subito, Matteo: chiedimi tutto, ma non di non amare la Juve, che adoro». E Matteo tutto contento: «L’importante è avere passione». Poi con Mario si avvia a piedi a Palazzo Chigi, da Letta, e un sosia televisivo di Matteo lo abbraccia e cerca di trascinarlo nelle sue gag. Roma è così. Imparerà a trovarcisi bene Matteo. Per ora, ironizza: «Non sono abituato alle conferenze stampa romane. Ora, per farvi contenti, devo parlare della polemica tra Quagliariello e chissà chi?». Perchè, no. Ma sarà, forse, per la prossima volta. Intanto s’è fatto tardi. L’incontro con Letta è stato di routine. E via a Firenze.

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