Patto per Roma nell’agenda di governo: la proposta di una legge speciale per la Capitale

di Beniamino Caravita
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Domenica 10 Settembre 2017, 00:11
Alcuni recenti interventi, commentando la situazione di degrado di Roma, hanno riproposto una grave questione istituzionale: cosa fare di una città, la Capitale della Repubblica, che - al di là dei demeriti dell’attuale gruppo dirigente o di quelli precedenti - appare avviarsi, in modo irrimediabilmente sfiduciato, verso un inarrestabile declino. E la risposta a tale questione deve permettere di discutere di idee e di progetti, non di persone. 

Anche se naturalmente poi le istituzioni camminano sulle gambe delle persone fisiche. Una prima, significativa linea di riflessione ce la offre proprio la Costituzione, questa volta non nel suo testo originario, bensì nella pur tante volte criticata riforma del Titolo V del 2001: nel terzo comma dell’articolo 114 si legge che «Roma è la Capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento». Si tratta in verità di un tema radicato nel dibattito e nella storia del Paese, che non era mai approdato fino al 2001 ad un ancoraggio costituzionale per ragioni legate alla vicenda storica italiana: la volontà di non esaltare il ruolo di Roma come caput mundi; il tradizionalmente complicato rapporto dello Stato italiano con Roma intesa come “centro della cristianità”; il timore di rievocare l’esperienza fascista del Governatorato di Roma.

Ma anche una volta che la difficoltà dell’inserimento del tema in Costituzione è stata superata, l’attuazione della disposizione è ricaduta nuovamente nell’incertezza. Di Roma Capitale, delle modalità di attuazione di questa innovativa - e apparentemente condivisa - scelta costituzionale, non se ne è mai parlato autonomamente, dedicando ad essa uno specifico capitolo della discussione politica e istituzionale, ma solo in strumentale collegamento con altri temi e altre vicende. 

E infatti la prima attuazione dell’articolo 114 è contenuta nella legge sul federalismo fiscale del 2009: lì, per bilanciare una teorica (e poi naufragata) apertura ad una maggiore autonomia di entrate e di spese degli enti territoriali, si prevedeva un regime peculiare di Roma, in quanto Capitale della Repubblica. Poi, però, pur se erano state predisposte concrete ipotesi di interventi normativi, poco si è fatto: la sintonia allora esistente tra le maggioranze comunale e regionale, ambedue di centrodestra, ha spinto invece verso una ambigua sopravvalutazione del ruolo della Regione nella progettazione delle competenze e dei meccanismi di funzionamento di Roma Capitale. 

Il secondo tentativo di attuazione è contenuto nella recente legge Delrio: qui la scelta - sbagliata, come ormai viene riconosciuto da più parti - è stata quella di “schiacciare” il possibile ruolo di Roma Capitale nella generica dimensione di una Città metropolitana, con una incongrua base provinciale, tra le altre. Ma è difficile far qualcosa per la Capitale se lo strumento istituzionale prescelto accomuna Roma a Bologna o a Reggio Calabria.
Per fare un esempio concreto, lo Statuto di Roma Capitale non è cosa che possa essere lasciata alla discussione di qualche decina di consiglieri comunali di Roma e provincia, ma è questione che deve coinvolgere il livello nazionale, visto il ruolo che Roma - capitale italiana, ma anche sede dello Stato Città del Vaticano e della Fao, nonché del Sovrano ordine militare di Malta - è destinata a giocare nei rapporti internazionali e le scadenze che tradizionalmente la Capitale è destinata ad affrontare.

Il senatore Luigi Zanda ha invocato una legge speciale per Roma dalle colonne di questo giornale. E la Capitale ha bisogno di un nuovo patto che - senza fermarsi alla astratta evocazione della difesa della legalità, ma avendo di mira lo sviluppo della città - coinvolga attori politici, culturali, sociali, economici: ma questo patto si deve collegare ad una rinovellata discussione sui progetti istituzionali.

Si deve allora ripartire dalla attuazione della norma costituzionale relativa a Roma Capitale e i modelli sul tappeto possono essere diversi: da quello del Comune speciale, a quello della Città metropolitana, da quello della Regione speciale, a quello - forse preferibile - di un ente, pur sempre espressione dell’autonomia locale, ma con uno spiccato rapporto con le istituzioni centrali, specie per quanto riguarda la gestione di servizi pubblici, che sono in realtà funzionali all’intera collettività nazionale e non solo a quella cittadina. Lo strumento operativo può essere - come si era già ipotizzato negli anni passati - quello di una legge delega che individui gli strumenti adeguati e fissi cogenti criteri e principi per l’operato del governo. 

La richiesta di concordato fallimentare per la più importante azienda di servizio pubblico in Italia, con 12000 dipendenti e 1.4 miliardi di euro di debiti, ben potrebbe essere, in ragione delle gravose conseguenze istituzionali che può avere sull’intera città di Roma e sulla Nazione, una occasione per riprendere già in questi mesi - in Parlamento, nel Paese, a Roma - una discussione che abbia la finalità di consegnare al prossimo governo nazionale e al governo cittadino strumenti adeguati per governare il disagio complessivo di Roma, che sta ormai diventando una delle principali emergenze italiane.
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