Soldi ai partiti, quel tesoretto ai gruppi da 53 milioni

Soldi ai partiti, quel tesoretto ai gruppi da 53 milioni
di Claudio Marincola
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Lunedì 8 Febbraio 2016, 08:33 - Ultimo aggiornamento: 22:03
Uscito dalla porta principale il finanziamento pubblico continua a scorrere sotto altre forme. In attesa che nel 2017 la scure si abbatta definitivamente sui contributi ai partiti, già scesi nel 2015 a 10 milioni, i gruppi parlamentari si spartiscono ogni anno una torta da 53 milioni euro. Sono fondi che gli uffici di presidenza gestiscono secondo precisi criteri ma che in un modo o nell'altro servono a coprire i costi della politica. Un senatore assegnato ad un gruppo vale 67.777 euro. Un deputato 50.793.

Fondi che i gruppi politici gestiscono per nome e per conto di Camera e Senato e spostano tutte le volte che transitano più o meno allegramente da un gruppo per aderire all'altro. Portano in dote un tesoretto personale da investire in consulenze, stipendi, comunicazione, editoria, beni e servizi. Sarà per questo che il 332° cambio di casacca dall'inizio della legislatura, l'approdo dell'ex grillina Adele Gambaro nel gruppo Liberalpopolare Autonomie di Denis Verdis, è stato accolto, si racconta nei corridoi del Transatlantico, con una ovazione.
 
LA PARTITA DI GIRO
Questa forma di finanziamento è «poco meno di una partita di giro», mettono le mani avanti i tesorieri dei gruppi. Serve a pagare i collaboratori - in aggiunta alla quota che ogni parlamentare percepisce per pagarsi il suo assistente - e a garantire il funzionamento del gruppo. Ma questo è vero solo in parte. Anche perché i soldi che arrivano sono talmente tanti che qui il danaro addirittura avanza (specie considerando che dal Parlamento europeo piovono altri soldi: 58,78 milioni di euro nel 2013): nei primi due anni di legislatura si è registrato un surplus di 15 milioni di euro. Nello specifico, gli 8 milioni avanzati al Pd e i 4 milioni rimasti nelle casse del M5S andranno a gonfiare gli introiti del 2015. Nel caso non dovessero essere spesi il regolamento prevede che vengano versati in un apposito fondo ma solo «decorsi 5 anni dal termine della legislatura».

Gli ultimi dati certificati dai revisori contabili della Bdo Italia si fermano al 31 dicembre del 2014. Li ha raccolti OpenPolis in un mini-dossier dal titolo evocativo: “Paga Pantalone”. Il Pd è quello che ha incamerato le cifre più consistenti: in due anni 27 milioni e 431 mila euro alla Camera e 11 milioni e 125 mila al Senato. La spesa più grossa ha riguardato gli stipendi per il personale, 5,6 milioni alla Camera il primo anno e 7,5 il secondo. Al Senato sono costati 1, 9 il primo anno e 3 milioni 144 mila euro il secondo. Tra deputati e senatori la spesa per consulenze e collaborazioni è stata di circa 1 milione e 310 mila euro. Che sommati alla voce «comunicazione» raddoppiano.
La graduale abolizione dei rimborsi elettorali non ha dunque interrotto il flusso.

Ne ha cambiato le modalità. Chi ha più parlamentari incassa di più. Nella speciale classifica tra chi ci ha perso e chi dai cambi di casacca ci ha guadagnato il primo è il gruppo Area Popolare Ncd-Udc. Sorto dal nulla, ha portato a casa 3,9 milioni di euro. Chi ci ha rimesso (5 milioni) è Forza Italia che paga la scissione con l'Ncd. Male anche il Movimento 5 Stelle che tra espulsioni e fuoriuscite ha visto scendere i finanziamenti di 2 milioni di euro.

I CONSULENTI
I grillini, teorici dello scontrino, vantano il primato dei soldi non spesi (il 30,55%) che non vuol dire restituiti ma residui attivo da impiegare l'anno successivo. Questo non ha impedito che tra collaborazione e consulenze nell'arco di meno di due anni siano stati spesi circa 669 mila euro. Un prezzo da pagare, sostengono i maligni, agli attivisti dei Meet Up reclutati in Parlamento. Federico d'Incà, presidente del gruppo dei parlamentari 5Stelle alla Camera, ex tesoriere, nonchè analista ed esperto di contabilità e finanza aziendale, non è d'accordo. Spiega: «Sono semplicemente collaboratori con un contratto che collaborano con noi in forma di consulenza, vengono retribuiti con compensi in linea con la media delle retribuzioni. Sono stati assunti attraverso colloqui individuali e fin dall'inizio abbiamo fatto richiesta pubblica a cui hanno risposto in 20 mila inviandoci il loro CV tutti vagliati, un lavoro durissimo». E i soldi non spesi? «Siamo passati da 109 a 91 deputati e il nostro finanziamento si è molto ridotto. Da qui la necessità di avere un avanzo di amministrazione per far fronte alle spese per gli stipendi del personale. Abbiamo accantonato circa 2,.6 milioni di euro e non abbiamo speso 1, 6 milioni già rientrati in possesso dei cittadini italiani attraverso la tesoreria della Camera».

Chi assume personale interno ha un incentivo di 65 mila euro per un ruolo da allegato A (legislativo) e di 30 mila per l'allegato B (ammnistrativo). Ma quasi tutti i gruppi, salvo poche eccezioni, fanno ricorso a personale esterno.

LA PISICCHIANA
Va da sé che nel 90% dei casi gli esperti e i collaboratori fanno parte del cerchio magico dei partiti. Ma questo è un altro discorso che vale più o meno per tutti da Sel alla Lega Nord di Matteo Salvini, il gruppo meno parsimonioso, l'unico che ha chiuso con un disavanzo - 125 mila euro alla Camera e - 312 mila al Palazzo Madama. Pur potendo contare su ben 4,6 milioni di euro di contributi. Come faranno a pagare fornitori e personale?

Sel ha ricevuto finora 3 milioni di euro, cui si aggiungono i finanziamenti al Senato dove i senatori di Nichi Vendola sono raggruppati nel Misto. Misto che meriterebbe un approfondimento. Alla Camera il gruppo guidato da Pino Pisicchio si è dilatato, ha raggiunto il numero monstre di 62 deputati, spaziando dai verdiniani all'Unione sudamericana emigrati di Renata Bueno. «Ognuno si gestisce i suoi finanziamenti che vanno in gran parte al pagamento degli stipendi», spiega il capogruppo Pino Pisiscchio. «Ma siamo oculatissimi, attenti al centesimo. Pensi che nella mio ufficio c'è l'unico frigorifero in dotazione al gruppo e chi una bottiglia di minerale è tenuto a versare cortesemente 50 centesimi. Ci scherzano su. dicono che è una tassa da pagare. La chiamano la “pisicchiana”. Ma io non me la prendo».

 
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