Dalla scure all’incenso/ Neo-garantisti loro malgrado

di Carlo Nordio
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Venerdì 29 Settembre 2017, 00:12
Commentando la richiesta dei Pm di Roma di rinvio a giudizio per il reato di falso,Virginia Raggi si è detta soddisfatta che sia caduto quello di abuso d’ufficio. Condividendo questa singolare euforia, Beppe Grillo ha esultato perché è venuto meno il reato più grave. Fermo restando che i criteri di autoconsolazione sono insindacabili, e che ognuno ha il diritto di scegliersi la corda con la quale impiccarsi, possiamo fare un breve commento in tre punti.

Primo. Il reato di falso, per il quale la Raggi, prima indagata, è ora imputata, è ben più grave del reato di abuso di ufficio. Lo è “quoad poenam”, come si dice in giuridichese, perché è punito fino a sei anni, mente l’altro è punito fino a quattro. E lo è da un punto di vista etico, perché mentre l’abuso, come abbiamo scritto più volte, è un qualcosa di indeterminato ed evanescente, che può essere facilmente confuso con l’errore, il falso esprime un atteggiamento ben definito e ingannevole, tanto più grave quanto più elevato è il rango del pubblico ufficiale che lo commette. Questo naturalmente non significa che la Raggi sia colpevole. Significa solo che c’è un limite anche ai commenti del codice penale.

Secondo. Questi commenti si inseriscono in un viavai di atteggiamenti oscillanti ed ambigui che da tempo contraddistinguono il Movimento sulla giustizia in genere e sul garantismo in specie. Partiti da intransigenti posizioni di palingenesi moralizzatrice, e assistiti dalla petulante litania della verginità giudiziaria, i pentastellati hanno progressivamente stemperato questa intransigenza giacobina per ritirarsi in posizioni più possibiliste, elastiche e moderate. Fino ad ammettere che l’indagato possa anche candidarsi premier, e comunque sottoponendo al loro discrezionale giudizio la candidabilità di chi aspira a una carica e la permanenza di chi la occupa già. Salvo poi, al momento opportuno, riprendere l’arcigno piglio montagnardo quando la ghigliottina dei processi può esser usata contro gli avversari. L’ultimo esempio si è visto nell’atteggiamento tenuto davanti al mostro giuridico del codice antimafia, approvato l’altroieri, dove nessuno di loro si è levato ad invocare il principio di presunzione di innocenza, così solennemente proclamato dalla Costituzione “più bella del mondo”.

Terzo. A prescindere dalle capacità amministrative di Virginia Raggi - sulle quali si esprimeranno i cittadini di Roma - è un fatto storico che la sua fortuna elettorale è stata costruita anche - e forse soprattutto - sugli infortuni giudiziari dei suoi precedenti colleghi , e in particolare di Ignazio Marino, dipinto dai grillini come esempio orribile di iniquità. Orbene, anche per Marino e Alemanno i Pm hanno chiesto l’archiviazione. Formalmente questo non compromette né oscura la legittima elezione della Raggi. Ma politicamente essa pone una forte ipoteca sulla razionalità e l’affidabilità di un partito che sfrutta le inchieste in modo quantomeno spregiudicato. Salvo poi, quando arriva il suo turno, svalutarne la portata a costo di ignorare, o addirittura manipolare, il codice penale. 
<HS9>Detto questo, va ricordato che i grillini non sono stati certo i primi ad adeguare le loro isterie giustizialiste alle proprie convenienze contingenti. Al contrario, da circa vent’anni gran parte dei nostri politici spera di eliminare per via giudiziaria l’avversario che non riesce a battere alle urne, gridando poi al complotto quando il coccodrillo, secondo la nota immagine di Churchill, arriva a divorare anche lui. Ma la lezione non è stata imparata da nessuno. E dopo l’approvazione del codice antimafia, il coccodrillo sarà ancora più affamato. 

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