Gli sbarchi più che i conti travolgono questa Europa

di Marco Gervasoni
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Mercoledì 26 Ottobre 2016, 00:04
«La storia di Goro è caratterizzata dalla continua lotta dell’uomo contro le acque del mare e del fiume» recita il sito web del Comune del Delta del Po, terra aspra e martoriata, che però da oggi rischia di essere ricordata per le barricate erette da un centinaio di suoi abitanti contro l’arrivo di venti profughi, tutti donne e bambini. Un fatto minore per entità, rispetto ad altre vicende analoghe occorse di recente nel nostro Paese, ma non per il rilievo simbolico, e quindi politico.

E infatti il ministro dell’interno Alfano ha ritenuto con ciò «disonorata l’Italia», il prefetto Morcone, a capo del Dipartimento immigrazione del Viminale, ha invitato i barricadieri a vergognarsi, mentre infangato si è detto il sindaco di Ferrara. Dall’altro lato della barricata (è proprio il caso di dirlo) la Lega Nord, che forse o forse no ci ha messo lo zampino, per la quale i rivoltosi sarebbero nientemeno che «eroi».

Tutti questi termini, onore, vergogna, eroismo, rimandano alla sfera della morale, e certo su questo piano i blocchi stradali non sono motivo di vanto per chi li ha organizzati. Però il problema, qui, come altrove, in via Cupa a Roma, a Calais nella «giungla», e in molti altri luoghi, è politico. E la prima ragione da ribadire è che le leggi dello Stato vanno rispettate: se il prefetto decide una misura, non è solo scorretto ma illegale ostacolarla, per di più attraverso le vie sediziose.

Per questo appare comprensibile ma discutibile la scelta del prefetto di Ferrara di fare dietrofront, e di dirottare altrove le donne, grazie alla buona volontà di sindaci di comuni limitrofi. Se invece di dieci fossero stati cento o mille, il tutto sarebbe stato però più difficile. Soprattutto, il gesto del prefetto, rappresentante dello Stato, ha legittimato con ciò una condotta, creando un precedente che un domani, in contesti ben più numericamente corposi, potrebbe produrre effetti drammatici. Ma così come non si può risolvere la questione invocando i buoni sentimenti, serve a poco limitarsi alla denuncia della violazione della legalità.

La giungla di Calais, ha scritto ieri “Le Monde” nel suo editoriale, non è il passato ma il futuro: altre ne sorgeranno, in Francia, in Italia, ovunque in Europa. E la linea dei governi nazionali e della Ue dovrebbe a questo punto essere univoca. Lasciando da parte il paziente per ora comatoso con sede a Bruxelles, che non si risveglierà prima delle elezioni francesi e tedesche del prossimo anno, qual è la posizione del nostro governo? È anch’essa assai confusa: si chiedono più soldi alla Ue, una maggior tolleranza nell’applicazione dello «stupido» (Romano Prodi dixit) fiscal compact, si alternano a denunce apocalittiche momenti di rimozione del problema. E si carica il tutto sulle spalle dei prefetti da un lato, e degli amministratori locali dall’altro, che sembrano non dialogare tra loro (come deve essere accaduto nel ferrarese) e certamente non con i cittadini, vittime di paure discutibili ma però assai reali. 

Insultarli dando loro dei «razzisti» risolve poco il dilemma, anche perché probabilmente essi non lo sono - e non lo sono certamente gli abitanti di Goro, una terra politicamente ultra rossa fin dall’inizio del Novecento. Come uscirne? Ieri Renzi ha minacciato di non votare più il bilancio Ue se i profughi non saranno accolti da tutti i Paesi e ha invitato ancora Bruxelles ad «aprire il portafogli». Un gesto clamoroso, vedremo che effetti sortirà. Di certo la soluzione non può essere solo finanziaria: la Ue deve decidere quanti accogliere, fissare delle quote, essere in grado di applicarle, difendendo i suoi confini. Un programma ambizioso. Ma occorre sapere che anche sui migranti l’Europa può saltare.
 
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