Berlusconi: «Lo Ius Soli, un invito ai migranti»

Berlusconi: «Lo Ius Soli, un invito ai migranti»
di Marco Conti
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Domenica 9 Luglio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 10:56

Il governo italiano preme sull’Europa, Presidente Berlusconi, ma la questione migranti continua a pesare in maniera considerevole sul nostro Paese. Lei cosa pensa occorrerebbe fare per frenare gli sbarchi?
«Non c’è che una soluzione: non farli partire», risponde l’ex presidente del Consiglio e leader di Forza Italia. «L’Europa si schieri: è tutta l’Europa che si deve impegnare a non farli partire. Questo deve chiedere il nostro governo e lo deve ottenere. Se non si ferma l’esodo alla partenza, non c’è altra soluzione praticabile. Non possiamo certo respingere chi rischia di annegare in mare: il diritto internazionale ma prima ancora la nostra coscienza non lo permetterebbero. Il nostro governo lo aveva fatto, mediante accordi bilaterali con i governi della sponda sud del Mediterraneo. Poi sono arrivate le “primavere arabe”, favorite dal cinismo o dalla miopia di alcuni paesi occidentali, ed è stato il disastro: quasi 700.000 persone dal 2011 si sono rovesciate sulle nostre coste. In queste condizioni, introdurre lo ius soli, come il PD vuol fare ad ogni costo, è un pessimo segnale, anche se la norma non riguarda ovviamente i clandestini. Far sapere che da oggi è più facile diventare cittadini italiani susciterà illusioni e false speranze in Africa, e quindi renderà ancora più forte la spinta migratoria».

Renzi però sostiene che gli accordi di Dublino, sottoscritti per l’Italia nel 2003 dal governo Berlusconi, e confermati nel 2013 da Letta, sono la vera ragione per la quale i migranti rimangono tutti in territorio italiano.
«Capisco Renzi: è tale l’imbarazzo per il disastro dei governi Pd in materia di immigrazione, che si confonde o non sa di cosa parla. Il segretario del Pd scambia la Convenzione di Dublino, firmata dal mio governo nel 2003, con il programma Triton, voluto e sottoscritto dal suo governo. A Dublino si era previsto soltanto che fosse il primo Paese europeo ad accogliere una persona che richiedeva asilo e a stabilire se questa persona avesse o no il diritto alla status di rifugiato. Invece con l’operazione Triton si è stabilito, nel 2014, con il consenso di Renzi e di Alfano, che tutti i migranti salvati da navi di qualsiasi nazionalità venissero sbarcati sulle coste italiane. Per di più nel 2003, quando governavamo noi, l’emergenza sbarchi non esisteva: in tutto l’anno arrivarono in Italia 14.000 persone, meno di quelle che nel 2016 sono sbarcate in un mese. Negli anni successivi il fenomeno venne addirittura azzerato. A questo si deve aggiungere il fatto che nel nostro Paese occorrono anni perchè ogni richiesta sia esaminata, e nel frattempo chi è sbarcato vive a spese della collettività, e che, una volta respinta la richiesta di asilo, di fatto nessuno viene rimandato nel paese di origine».

Una sostanziale impunità?
«...Che ovviamente determina una spinta fortissima dall’Africa verso l’Italia: sono di questi giorni le stime drammatiche di altre 300.000 persone ammassate sulle coste libiche nella speranza di partire. L’Europa ha molte colpe, ma la sinistra non cerchi alibi dando la colpa all’Europa. Se siamo in questa situazione è prima di tutto per l’incapacità dei governi che sono venuti dopo il nostro a gestire questa materia, e poi per effetto di accordi internazionali liberamente sottoscritti dal governo Renzi».

Ma come giudica il comportamento di Francia e Germania sui migranti? Ci sono consigli che si sentirebbe di dare a Gentiloni per trattare al meglio un dossier tanto delicato con Macron e Merkel?
«Credo sia ingenuo e inutile insistere per ridistribuire le quote dei “rifugiati”, (quei migranti che fuggono da una guerra, dalla prigionia o dalla morte) ai quali solo è riconosciuto, a differenza dei cosiddetti migranti “economici”, il diritto di asilo. L’Europa l’ha promesso ma si tratta di una quota limitata, quasi irrilevante, del totale. La gran parte di coloro che attraversano il Mediterraneo (addirittura il 95%) sono migranti economici, che si illudono di trovare nei nostri paesi migliori condizioni di vita, e ai quali per le convenzioni internazionali non è possibile riconoscere il diritto di asilo perché catalogabili come “rifugiati”. L’Europa deve far sentire tutto il suo peso politico per negoziare con i paesi del Nord Africa accordi come quelli che avevamo stretto noi per bloccare le partenze, ed altri accordi ancora con i paesi d’origine per i rimpatri. Tutto questo deve avvenire sotto l’egida e il controllo delle Nazioni Unite, che assicurino il rispetto delle regole umanitarie. Al tempo stesso, occorre un grande piano Marshall per l’Africa, che coinvolga oltre all’Europa le altre grandi potenze economiche del pianeta: se non offriamo a questa gente una ragionevole prospettiva di vita dignitosa a casa propria, controllare il flusso migratorio diventerà prima o poi impossibile».

Pensa che in Libia si riuscirà a rimettere insieme il Paese oppure occorre prendere atto che ormai ci sono più “libie”?
«Sarebbe troppo facile ricordare quante accuse e quanti sarcasmi subì il mio governo per aver puntato sulla stabilità del regime di Gheddafi, ed essere riuscito a renderlo un interlocutore affidabile. In Libia ci sono 105 tribù, da sempre in contrasto tra loro e solo Gheddafi era riuscito a farle convivere pacificamente. Per questo oggi la situazione è frammentata, e dobbiamo realisticamente fare i conti con il fatto che le forze in campo sono non soltanto diverse, ma in conflitto fra loro. Questo naturalmente rende tutto più difficile, ma non vedo altra strada».

 Venendo ai temi italiani, Presidente, le elezioni amministrative hanno premiato il centrodestra ma ora i suoi alleati dettano condizioni. Riuscirete a rimettere insieme il centrodestra o è meglio che alle elezioni ognuno vada per conto proprio?
«Il centrodestra alle amministrative si conferma la prima area politica in Italia. Credo che i nostri elettori abbiamo premiato la qualità dei nostri candidati, quasi tutti non professionisti della politica, e la concretezza dei loro programmi per far vivere meglio le nostre città: meno imposte locali, meno burocrazia, tolleranza zero contro il degrado, più aiuto a chi è rimasto indietro, più cura del verde. Questo interessa agli elettori, non dobbiamo commettere anche noi l’errore della sinistra di parlare a noi stessi invece di parlare ai cittadini. Un centrodestra unito ma plurale, con un chiaro profilo liberale, solide radici cristiane, e una giusta attenzione ai temi della destra, è l’unica possibilità per tirare fuori l’Italia dalla crisi. Quanto al modo di presentarci, dipenderà ovviamente dalla legge elettorale».

Per lei è ancora possibile cambiare la legge elettorale?
«Non solo è possibile, è doveroso. Non riesco a capire perché una legge sulla quale tutti erano d’accordo, e che tutti hanno votato solo un mese fa, non possa essere la base dalla quale ripartire oggi. Cos’è cambiato?».

Euro, immigrati, flat tax. Cosa vi unisce ancora alla Lega e cosa invece vi divide?
«Direi che ci unisce il 95% delle cose da fare e il 100% delle speranze dei nostri elettori. Certo, siamo forze politiche diverse, noi siamo orgogliosamente parte della grande famiglia del Ppe, che rappresentiamo in Italia, il centrodestra che vince in Europa alternativo alla sinistra. Ma con i nostri alleati abbiamo un rapporto ventennale, con loro governiamo grandi regioni e importanti città. Non c’è davvero ragione per rimetterlo in discussione».

Ma tra il filo leghismo di Toti e l’europeismo di Tajani chi sceglie?
«E perché devo scegliere? Il compito di un leader è quello di unire».

Concede le primarie ai suoi alleati e le vince. Non le sembra un’idea?
«In 23 anni sa quanti voti ho ottenuto dagli italiani, in totale? Più di 200 milioni. Ma il tema non è questo: io non sono in competizione con nessuno. Sono le primarie in sé l’assurdo. Non vedo perché dovremmo imitare un metodo che al Pd non ha certo portato fortuna. Un metodo che favorisce brogli e che riduce il confronto di idee a una conta di militanti organizzati. Renzi ha vinto da poco le primarie del suo partito: non mi sembra che abbia risolto tutti i problemi, ne dentro ne fuori il partito».

Se ad ottobre la maggioranza non dovesse avere i numeri sulla legge di Bilancio, esiste l’ipotesi di un sostegno di FI al governo Gentiloni in nome della stabilità dei conti?
«In Parlamento esiste una maggioranza, di sinistra, che sostiene il governo e che ovviamente ne approverà la manovra economica. Noi potremmo votarla solo se – lo dico naturalmente per assurdo – facesse proprio il nostro programma. In 23 anni non abbiamo mai votato contro un provvedimento che fosse nell’interesse degli italiani, chiunque lo proponesse. Dunque se la manovra di bilancio rispecchiasse la nostra politica economica e contenesse un forte taglio alle tasse e alla spesa pubblica e misure concrete contro la povertà, allora la potremmo votare. Ma vedrà che non sarà così, perché questo è il nostro programma, non il loro».

Continua a non escludere larghe intese con Renzi?
«Veramente continuo ad escluderle, come ho sempre fatto, in ogni mia dichiarazione pubblica e privata».

A sinistra del Pd c’è chi invoca l’Unione. Teme possano ricomporre le fratture o ritiene che quella stagione è finita? «Mi scusi, posso essere sincero? Sono questioni che non mi riguardano e non mi interessano. Credo che non interessino neppure gli italiani. Il paese è in una situazione drammatica, la disoccupazione è altissima, 15 milioni di italiani vivono sotto la soglia di povertà, il dramma degli sbarchi sta assumendo proporzioni bibliche, e io dovrei occuparmi dei rapporti fra Orlando e Bersani, fra Pisapia e D’Alema? La sinistra fra i suoi antichi difetti ha quello di ritenersi il centro del mondo, di pensare che le sue nevrosi e le sue divisioni siano decisive per il paese. Io non ci ho mai creduto. Io sto lavorando a un grande progetto, che non esisto a definire rivoluzionario – una rivoluzione liberale, ovviamente - per far uscire l’Italia dalla crisi. In momenti difficili occorrono mezzi straordinari. Sto pensando a rivoluzionare il sistema fiscale, con l’introduzione della flat-tax e dell’area esente sotto i 12.000 euro, a un diverso regime per le partite IVA, al reddito di dignità per chi non ce la fa, ad una radicale riforma del welfare, a una riforma della giustizia e della burocrazia che renda l’Italia vivibile per gli italiani e attrattiva per gli investimenti. Questo credo sia davvero importante per ognuno di noi e per tutti i cittadini».

E i 5Stelle? Visti i risultati delle comunali, pensa che la loro corsa si sia arrestata? Non teme che i voti degli ex grillini tornati al centrodestra potrebbero sfuggirvi un’altra volta?
«Non penso affatto che i 5Stelle abbiano arrestato la loro corsa.

Sul piano nazionale sono forti e pericolosi come prima. Il loro successo è la certificazione del fallimento della politica. E’ paradossale che ne siano protagonisti proprio loro, che sono i veri politici di professione. Persone che sono arrivate alla politica senza aver mai fatto nulla in vita loro e che, non avendo una cultura di riferimento, possono dire o fare qualsiasi cosa risulti loro conveniente per prendere il potere. Se vincessero gli effetti sarebbero drammatici: patrimoniale, tasse sulla casa altissime, imposta di successione al 50%. Insomma, un vero e proprio disastro per l’economia. Sta a noi sconfiggerli, e c’è un solo modo: offrire ai loro elettori, per i quali ho grande rispetto, una politica seria, onesta, concreta, affidata a persone credibili, che abbiano dimostrato nella vita professionale quello che sono capaci di fare. E’ la grande sfida alla quale intendo dedicare tutte le mie energie».

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