Meloni sfida FI e Salvini: corro per la leadership, no ai referendum del Nord

Meloni (Omni)
di Marco Ventura
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Lunedì 25 Settembre 2017, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 08:14

Donna, italiana, patriota. Giorgia Meloni chiude il raduno nazionale di Fratelli d'Italia Atreju a Roma rilanciando dal palco le parole d'ordine del movimento: «Italiani prima». Prima degli immigrati, prima delle lobby di partito ed europee, prima degli espedienti governativi come le «mancette degli 80 euro». E prima delle rivendicazioni autonomiste dei referendum veneti e lombardi, perché «in Italia non succederà mai come tra Spagna e Catalogna, siamo un solo popolo».

All'attacco la leader di Fratelli d'Italia, si propone come guida di tutta la coalizione, sfidando Berlusconi e Salvini, «in campo per la leadership del centrodestra e quindi dell'Italia... Se è in campo di Maio possiamo agevolmente competere anche noi». Importanti sono arma e regole del duello: «Ci dicano lo strumento, compatibilmente con la legge elettorale, se sono le primarie o le preferenze». Giorgia chiede «un metodo con cui potermi misurare e ognuno chiederà agli italiani quale sia la proposta più credibile». Ma la sua candidatura non è di rottura. Lei vede la possibilità di «tornare al governo», anzi vuole che «la coalizione si presenti alle elezioni unita su un progetto chiaro e coraggioso». Propone una «alleanza di patrioti» che rimetta al centro «gli interessi degli italiani massacrati da anni di governi nati su inciuci».

La vittoria andrebbe decisa con premio di maggioranza e preferenze. No al Rosatellum bis o 2.0, compromesso che però piace a Lega e Forza Italia. A Emanuele Fiano del Pd, promotore della proposta (e della legge contro chi esalta i simboli fascisti), la Meloni dice: «L'unica cosa fascista l'ha fatta lui, le liste bloccate c'erano nel fascismo». Poi il riferimento al «colpo di Stato del 2011» contro Berlusconi: «Noi davamo fastidio», attacca Giorgia tra gli applausi, «è stato fatto un colpo di Stato dalle cancellerie europee, spalleggiato dalle massime cariche istituzionali italiane, la storia sarà implacabile con i traditori».

L'AFFONDO
La Meloni indica qualche bersaglio. Uno è Marchionne, Ceo della Fca: «La Fiat ha avuto aiuti, ma ha spostato gli stabilimenti all'estero e anche lui paga le tasse all'estero». Quanto a Laura Boldrini, presidente della Camera, «si copre la testa quando va da un capo islamico, e poi va dal Papa in ciabatte». E nel mirino la proposta del Pd renziano dello «ius soli, una vergogna che solo chi disprezza l'Italia poteva immaginare». I confini vanno difesi. La politica «di accogliere tutti» punta alla «sostituzione etnica, a favorire con l'immigrazione lo sfruttamento del lavoro». Giorgia accusa «da donna» femministe e sinistra di difendere «la donna violentata solo se non è un immigrato a farlo, perché nella scala sociale della sinistra l'immigrato viene prima della donna violentata».

La Boldrini aderisca alla prossima manifestazione Fdi in difesa delle donne, «sperando che non abbia di meglio da fare come preoccuparsi che una donna sia chiamata capatreno e non capotreno».

Un accenno infine alla campagna siciliana dove il candidato governatore del centrodestra è voluto anche da Fdi («Dimostreremo che si vince con le proposte serie, non con le melasse») e un affondo contro il Ceta, «la vergogna di quell'accordo con il Nord America che riconosce 40 dei 400 marchi d'origine italiana». Donna, italiana, patriota.

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