È il direttore di Questione giustizia, il periodico di Md, Beniamino Deidda, sino all'anno scorso procuratore generale a Firenze, a fare le pulci alla decisione dei suoi ex colleghi, che hanno ritenuto che Berlusconi fosse «un soggetto perfettamente inserito nella legalità e iper-integrato nella società», concludendone che, «dunque, un simile soggetto presentasse scarsissima pericolosità. Quest'uomo, si saranno detti i giudici è sempre stato provvisto di denaro, ha sempre guadagnato bene, vive in una bella casa, frequenta persone altolocate (ma Previti, Dell'Utri e le 'olgettine' come vanno considerati?): dunque di che recupero può avere bisogno?». Secondo Deidda, «il Tribunale avrebbe dovuto valutare in concreto la pericolosità e le condizioni per un proficuo inserimento di questo condannato, che ha infranto gravemente la legge nonostante le sue condizioni economiche e sociali, mentre rappresentava il popolo italiano in Parlamento e ricopriva prestigiose cariche pubbliche».
E invece «nei pochi passi dell'ordinanza in cui il Tribunale si prova ad esaminare quale sia il senso del comportamento di Berlusconi, durante e dopo la condanna, afferma cose in aperto contrasto con fatti notori», come il fatto di ritenere che sia solo «politica» il dirsi vittima di un complotto da parte di giudici e pm. «Ma come si fa a credere che i giudici milanesi in tanti anni non abbiano aperto un giornale, non abbiano mai sentito Berlusconi che aggrediva i giudici, forte della sua posizione di Presidente del Consiglio; oppure che non abbiano mai sentito il condannato rinnovare le sue aggressioni prendendo a pretesto proprio la condanna per la quale è stato ora disposto l'affidamento in prova? E non bastava tutto questo per capire che si trattava di persona grandemente bisognosa di un serio programma di riadattamento sociale?».
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