Alleanze variabili/ Se M5S sogna un governo di minoranza

di Alessandro Campi
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Venerdì 17 Marzo 2017, 00:05
Secondo il vertice dei Movimento cinque Stelle, quello delle alleanze e delle coalizioni in vista del futuro governo, quando cioè l’attuale legislatura sarà terminata, è un tema vecchio e poco interessante. In realtà è un tema divenuto attuale e decisivo da quando si è capito che andremo a votare con la legge elettorale de facto proporzionale scaturita dalla decisione della Consulta che lo scorso 25 gennaio ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’Italicum. 

Non è un caso che a sollevarlo, per quanto in maniera obliqua e ambigua, siano stati propri alcuni importanti esponenti grillini oppure giornalisti e intellettuali che simpatizzano con la loro causa. Certo, sappiamo che chi dovesse raggiungere il 40% dei voti alle elezioni potrebbe contare su una maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati e fare le sue scelte in piena autonomia (sempre sperando che abbia la maggioranza anche al Senato). 
Ma per quanti sforzi di fantasia si possano fare, al momento non sembra esserci alcuna forza politica in grado da sola di avvicinarsi a quella soglia fatidica, che farebbe scattare il premio di maggioranza. Se dunque il partito di Grillo dovesse comunque risultare primo nel consenso degli italiani, ottenendo così dal Capo dello Stato l’incarico per formare con un proprio esponente un nuovo esecutivo, si aprirebbe il problema di dove trovare i voti necessari per sostenerlo.Da quello che si capisce, per il loro ipotetico governo i grillini non farebbero accordi o patti, segreti o alla luce del sole. Non parliamo poi di offrire posti o di mercanteggiare. Dagli altri partiti accetterebbero solo il sostegno parlamentare necessario a far passare quelle leggi da loro proposte e volta a volta condivise in Parlamento. Se le parole hanno un senso, stiamo parlando di un governo di minoranza monopartitico, privo di una sua autonoma base parlamentare, che per nascere avrebbe bisogno dell’astensione degli altri partiti al momento del voto di fiducia. E che per vivere e operare dovrebbe conquistarsi i consensi ad ogni votazione, in commissione o in aula.

Per carità, non ci sarebbe nulla di strano. I governi di minoranza (detti anche di maggioranza relativa) non sono una stranezza costituzionale. Si trovano con una certa frequenza nelle democrazie del nord Europa. Ma anche l’Italia della Prima repubblica ha conosciuto questa formula in un paio di occasioni. 
Il problema che si pone, visto che i grillini non vogliono al momento sentir parlare di alleanze o di coalizioni, è quali sono i partiti o le forze con i quali stabilire rapporti di collaborazione momentanea e che siano disposti a sostenere (perché lo condividono o semplicemente per senso di responsabilità) il loro programma di governo. Il pensiero vola subito ai bersaniani e agli scissionisti del Partito democratico. Sono loro dopotutto che nel 2013 avevano provato a coinvolgere il M5S in un accordo per il governo naufragato poi in un mare di equivoci. Anche quello doveva essere, nelle intenzioni dell’allora segretario del Pd e premier in pectore, un governo di minoranza al quale Grillo e suoi avrebbero dovuto offrire i loro voti. Quello che adesso si prospetta è uno schema analogo ma a parti fatalmente invertite. 

Ma mentre quattro anni fa ci si poteva ancora illudere, come si era fatto con la Lega in una certa fase, che il M5S fosse anch’esso una costola politica della sinistra, col quale era dunque possibile intraprendere un cammino comune, oggi il suo profilo ideologico dovrebbe apparire più chiaro anche al più disincantato o ingenuo dei post-comunisti. Resta difficile in effetti capire quale sostegno possa essere dato dai dissidenti della sinistra a un ipotetico governo grillino quando si comincerà a discutere, invece che di reddito di cittadinanza o di testamento biologico, di Europa, di immigrazione o di politica estera. Su questi temi, sui quali i grillini sembrano condividere le posizioni dei partiti populisti di destra radicale attivi ovunque in Europa, sarebbe per loro più facile trovare il sostegno parlamentare della Lega di Salvini. Viene dunque da immaginare un governo di minoranza che pesca i vostri a destra o a sinistra secondo le convenienze. Ma quanto potrebbe durare un simile esecutivo?

Si torna così – visto che i partiti hanno deciso di tenersi un sistema di voto proporzionale – al tema delle alleanze politiche organiche necessarie a far nascere un governo di coalizione minimamente stabile. I grillini, per quello che li riguarda, negano pubblicamente quest’eventualità, che porrebbe fine al loro orgoglioso isolamento politico-parlamentare, ma in realtà ci stanno seriamente pensando, come si capisce ormai da molti indizi. D’altro canto, l’innocenza l’hanno persa da un pezzo, da quando cioè avendo assunto importanti ruoli di governo a livello locale si sono trovati coinvolti anch’essi nelle camarille e nelle prassi clientelari che continuano ipocritamente a denunciare a gran voce. A dispetto dei loro proclami, sempre nel segno dell’intransigenza ideale e della salvaguardia della purezza originaria, l’idea che il prezzo del potere sia il compromesso ha evidentemente fatto breccia anche nelle loro teste. Se non in quelle dei militanti duri e puri, sicuramente in quelle di Casaleggio e Grillo, ai quali – quando sarà il momento – certo non mancheranno gli argomenti per convincere i loro adepti che il movimento, finita la stagione romantica e eroica della lotta da soli contro tutti, se davvero vuole governare l’Italia deve entrare in quella del pragmatismo e della concretezza. E si salveranno la coscienza e la faccia - vedrete - dicendo che gli altri fanno inciuci e maneggi sotto banco, mentre loro stringono accordi e alleanze per il bene del Paese.
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