L'ultimo aut aut ai dissidenti «Se mancano i voti, elezioni»

L'ultimo aut aut ai dissidenti «Se mancano i voti, elezioni»
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Mercoledì 8 Ottobre 2014, 05:51 - Ultimo aggiornamento: 08:48
IL RETROSCENA
ROMA «Ora in Europa dovranno ascoltarci...». Matteo Renzi già sente in tasca lo scalpo dell'articolo 18 con tanto di riforma strutturale del mercato del lavoro. Quella richiesta, e intimata, a più riprese dalla Banca centrale europea, dal Fmi e da Bruxelles. Così il premier, forte del voto del Senato che verrà nel pomeriggio proprio mentre a Milano si celebrerà il summit europeo sull'occupazione, spera di andare all'incasso. Conta di ottenere dalla nuova Commissione uno sguardo benevolo quando, tra qualche giorno, analizzerà una legge di stabilità che non centra gli obiettivi di riduzione di deficit e debito. In una sorta di baratto: riforme strutturali in cambio di flessibilità. «Il posizionamento con cui arriviamo al vertice europeo è straordinario. Ci presentiamo con il programma di riforme più ambizioso mai realizzato in Italia e anche in Europa», celebra Renzi.
«NIENTE DISERZIONI»

Per raggiungere l'obiettivo, per ottenere un «timing convincente e sorprendente», Renzi è andato alla prova di forza. Ha concesso alla minoranza del Pd un maxi-emendamento con il quale ha recepito le correzioni suggerite dalla Direzione di lunedì 29 settembre (il reintegro in caso di licenziamenti disciplinari), ma ha anche imposto il voto di fiducia a dispetto degli appelli di Bersani & C. E ora si dice sicuro, fa sapere di non temere agguati. La ragione è semplice, è figlia della debolezza dei suoi avversari e del terrore di Silvio Berlusconi per le elezioni anticipate. Tant'è che se 2-3 senatori civatiani dovessero confermare il loro “no”, con ogni probabilità scatterà il “soccorso azzurro” sotto la regia di Denis Verdini. Con 2-3 assenze al momento del voto di fiducia tra le file di Forza Italia, in modo da far abbassare il quorum.
Ma non è certamente questo l'epilogo gradito a Renzi. Anzi. Restare in piedi con il sostegno mascherato di Berlusconi sarebbe una prova di estrema vulnerabilità. Vorrebbe dire consegnarsi nelle mani dell'ex Cavaliere, con un imbarazzante metamorfosi della sua maggioranza e una crisi di nervi del Ncd di Angelino Alfano. Per questo il premier al Pd predica compattezza: «Dobbiamo farcela con i nostri voti. La riforma del lavoro sarà il segno distintivo di questa legislatura, la prova del nostro riformismo, e non possiamo farla passare con il sostegno di altri...».
E se andrà male o dovesse andare così così, Renzi punterà sparato verso le elezioni, convinto di vincerle a mani basse. «E' però l'ultima cosa che voglio, ora si devono fare le riforme, si deve cambiare il Paese. Il momento per contarci, come ho detto mille volte, cadrà nel 2018».
SPACCARE I SINDACATI

Che l'orizzonte del 2018 non sia un bluff, Renzi l'ha dimostrato incontrando per la prima volta i sindacati a palazzo Chigi. Non per rilanciare il metodo della concertazione («dai veti io non mi faccio fermare»), ma per rendere ancora più profondo il solco che divide la Cgil di Susanna Camusso dalla Cisl e Uil di Anna Maria Furlan e Luigi Angeletti, e trasformare questi due sindacati in interlocutori con cui spianare la strada alle riforme. Così, quando ha chiuso l'incontro nella Sala Verde, il premier ha parlato di «sorprendenti punti di intesa». E non si riferiva certo alla Camusso, che ha sfidato a portare il 25 ottobre in piazza «tre milioni di persone», come fece Sergio Cofferati nel 2002. Ma ad Angeletti e alla Furlan, la nuova leader cislina pronta a certificare «una svolta nel rapporto tra governo e sindacati».
Ma il cuore e la testa di Renzi sono già al vertice di oggi. Da Berlino sono arrivati segnali incoraggianti. Prima il sì di Angela Merkel a partecipare a una conferenza stampa congiunta con il premier italiano e il presidente francese Francois Hollande, i due alfieri della flessibilità. Poi il sostegno di Berlino alla riforma del lavoro. Il modo, forse, scelto dalla Merkel per prepararsi a concedere qualcosa. Con un problema: la Cancelliera, nel caso, dovrà mettere la museruola ai mastini del rigore come Jyrki Katainen che lei stessa ha allevato e voluto nei posti di comando a Bruxelles. E comunque da Palazzo Chigi filtra serenità: non temiamo la procedura d'infrazione.
Alberto Gentili
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