Oggi sarà una caccia all'ultimo voto, in teoria più facile per il governatore del Pirellone Roberto Maroni che non ha un quorum ma ha comunque fissato l'asticella al 34%, più impegnativa per il collega di Palazzo Balbi Luca Zaia, che deve portare alle urne almeno il 50% più uno degli elettori. Oppure il banco salta, insieme alla promessa di autonomia e federalismo che hanno fatto vincere le elezioni politiche ai due presidenti della Regione. In Lombardia gli elettori sono 7,8 milioni, 1.523 i Comuni, 9.224 le sezioni elettorali e 24.700 le voting machine con cui i cittadini esprimeranno la loro preferenza.
GLI INTOPPI
Tutti i tablet sono dotati di stampante per la verbalizzazione dei voti in fase di scrutinio, i test di funzionamento sono andati avanti fino a ieri sera. Non senza intoppi, come segnala il segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati secondo cui gli uffici elettorali «hanno evidenziato che statisticamente il 4% delle macchine non funziona». I problemi? «Scontrini montati al contrario e male. La stampa del pin necessario al voto si blocca a metà. E senza pin stampato». Ma il vero cruccio del Pirellone è che questo referendum non scalda. Secondo alcuni esponenti del Carroccio, proprio la necessità del quorum ha obbligato Zaia a una campagna aggressiva per dare una spinta in più ai 4 milioni di elettori, che potrebbero sentirsi più coinvolti e responsabilizzati. «L'80% dei cittadini sa che domenica c'è un referendum. E allora non fate i lazzaroni, alzatevi dal divano, spegnete la televisione e andate a votare», li pungola il presidente dal palco dell'ultimo comizio di Treviso. Zaia fa leva sull'orgoglio popolare: «Siamo una comunità e questo lo si dimostra solo con l'affluenza».
Lo spirito di identità, spiegano i promotori, è più radicato in Veneto che in Lombardia, a Milano la Lega Nord non supera il 15%. Le previsioni di affluenza del 34% ricalcano quelle delle ultime votazioni, Maroni però ha una cifra che tiene chiusa nel cassetto: 40%. Un risultato ambizioso per un referendum consultivo che lascia freddi i lombardi, ma il governatore spera che a fare la differenza sia la pubblica adesione di due nomi forti del centrosinistra, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il collega di Bergamo Giorgio Gori. Maroni ha puntato a un appoggio sempre più ampio di alleati esterni al Carroccio: ha chiuso la campagna accanto al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi e ha proposto a Gori «di far parte della delegazione con la quale andrò a Roma a discutere con Gentiloni». Se è vero che la maggior parte dei sindaci del Pd ha aderito al comitato per il sì, tutti sono critici su un punto: la consultazione è «inutile e dispendiosa», dicono, meglio sarebbe stata una trattativa diretta come ha fatto l'Emilia Romagna. «Abbiamo aperto una pagina nuova - replica Maroni nel suo ultimo appello - Le prospettive sono esaltanti».
PROPOSTA DI LEGGE
I referendum, però, non sono vincolanti. Nel caso vinca il sì le Regioni chiederanno all'esecutivo di avviare una trattativa per ottenere maggiori competenze nelle venti materie concorrenti (spiccano il coordinamento della finanza pubblica e tributario, lavoro, energia, infrastrutture e protezione civile) e in tre esclusive dello Stato (giustizia di pace, istruzione e tutela dell'ambiente e dei beni culturali). L'intesa dovrà poi concretizzarsi in una proposta di legge da approvare a maggioranza assoluta in entrambe le Camere.
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