Il referendum non scalda il Nord. E il voto con i tablet è a rischio flop

I presidenti della Regione Lombardia Roberto Maroni e della Regione Veneto Luca Zaia sul palco del raduno della Lega Nord a Pontida (Bergamo), 17 settembre 2017 (Foto Ansa)
di Claudia Guasco
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Domenica 22 Ottobre 2017, 09:50 - Ultimo aggiornamento: 09:52
In Lombardia c'è il brivido del voto elettronico (funzionerà? si incepperanno i tablet? gli hacker entreranno nel sistema?), in Veneto la grande incognita dell'affluenza. Ma il tratto comune è l'indifferenza dei cittadini per una consultazione che non coinvolge né accende gli animi.

Oggi sarà una caccia all'ultimo voto, in teoria più facile per il governatore del Pirellone Roberto Maroni che non ha un quorum ma ha comunque fissato l'asticella al 34%, più impegnativa per il collega di Palazzo Balbi Luca Zaia, che deve portare alle urne almeno il 50% più uno degli elettori. Oppure il banco salta, insieme alla promessa di autonomia e federalismo che hanno fatto vincere le elezioni politiche ai due presidenti della Regione. In Lombardia gli elettori sono 7,8 milioni, 1.523 i Comuni, 9.224 le sezioni elettorali e 24.700 le voting machine con cui i cittadini esprimeranno la loro preferenza.

GLI INTOPPI
Tutti i tablet sono dotati di stampante per la verbalizzazione dei voti in fase di scrutinio, i test di funzionamento sono andati avanti fino a ieri sera. Non senza intoppi, come segnala il segretario metropolitano del Pd Pietro Bussolati secondo cui gli uffici elettorali «hanno evidenziato che statisticamente il 4% delle macchine non funziona». I problemi? «Scontrini montati al contrario e male. La stampa del pin necessario al voto si blocca a metà. E senza pin stampato». Ma il vero cruccio del Pirellone è che questo referendum non scalda. Secondo alcuni esponenti del Carroccio, proprio la necessità del quorum ha obbligato Zaia a una campagna aggressiva per dare una spinta in più ai 4 milioni di elettori, che potrebbero sentirsi più coinvolti e responsabilizzati. «L'80% dei cittadini sa che domenica c'è un referendum. E allora non fate i lazzaroni, alzatevi dal divano, spegnete la televisione e andate a votare», li pungola il presidente dal palco dell'ultimo comizio di Treviso. Zaia fa leva sull'orgoglio popolare: «Siamo una comunità e questo lo si dimostra solo con l'affluenza».

Lo spirito di identità, spiegano i promotori, è più radicato in Veneto che in Lombardia, a Milano la Lega Nord non supera il 15%. Le previsioni di affluenza del 34% ricalcano quelle delle ultime votazioni, Maroni però ha una cifra che tiene chiusa nel cassetto: 40%. Un risultato ambizioso per un referendum consultivo che lascia freddi i lombardi, ma il governatore spera che a fare la differenza sia la pubblica adesione di due nomi forti del centrosinistra, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il collega di Bergamo Giorgio Gori. Maroni ha puntato a un appoggio sempre più ampio di alleati esterni al Carroccio: ha chiuso la campagna accanto al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi e ha proposto a Gori «di far parte della delegazione con la quale andrò a Roma a discutere con Gentiloni». Se è vero che la maggior parte dei sindaci del Pd ha aderito al comitato per il sì, tutti sono critici su un punto: la consultazione è «inutile e dispendiosa», dicono, meglio sarebbe stata una trattativa diretta come ha fatto l'Emilia Romagna. «Abbiamo aperto una pagina nuova - replica Maroni nel suo ultimo appello - Le prospettive sono esaltanti».

PROPOSTA DI LEGGE
I referendum, però, non sono vincolanti. Nel caso vinca il sì le Regioni chiederanno all'esecutivo di avviare una trattativa per ottenere maggiori competenze nelle venti materie concorrenti (spiccano il coordinamento della finanza pubblica e tributario, lavoro, energia, infrastrutture e protezione civile) e in tre esclusive dello Stato (giustizia di pace, istruzione e tutela dell'ambiente e dei beni culturali). L'intesa dovrà poi concretizzarsi in una proposta di legge da approvare a maggioranza assoluta in entrambe le Camere.
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