Migranti, sì del governo alle navi militari italiane in Libia contro i trafficanti

Migranti, sì del governo alle navi militari italiane in Libia contro i trafficanti
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Venerdì 28 Luglio 2017, 13:57 - Ultimo aggiornamento: 29 Luglio, 07:59

Parte ufficialmente la missione italiana in Libia: il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a quella che il premier Paolo Gentiloni ha più volte definito un'operazione di «supporto» alle autorità libiche, per aumentare la loro capacita di controllo del territorio e di contrasto alle organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti. Un «passo avanti» del processo di stabilizzazione del paese nordafricano al quale il nostro paese «ha il dovere» di partecipare, ha detto Gentiloni. «Un percorso accidentato e non un'autostrada in discesa», che resta tuttavia «una priorità dell'Italia».

Davanti a Tripoli e a Misurata, almeno in una prima fase, saranno inviate non più di un paio di navi, una fregata Fremm e un pattugliatore con relativi elicotteri imbarcati, droni, uomini del battaglione San Marco e del Comsubin. Un dispositivo dunque ridotto rispetto alle cinque navi ipotizzate in un primo momento. Non ci sarà un «enorme invio di grandi flotte e squadriglie aeree», conferma in sala stampa dopo il Cdm il premier, ribadendo che l'iniziativa italiana «non è contro ma vuole rafforzare la sovranità libica». Parole rivolte più a Tripoli che all'opinione pubblica italiana, per stoppare le fibrillazioni tra le varie tribù che avevano costretto Sarraj a frenare la sua ampia richiesta di supporto. Dietro il via libera del Cdm c'è stato dunque un lungo lavoro diplomatico e politico tra le due sponde del Mediterraneo, per rassicurare Tripoli e chiarire definitivamente quella che fonti di governo definiscono «un'incomprensione»: in Libia qualcuno ha voluto leggere come una sorta di "invasione" da parte dell'Italia quella che fin dall'inizio Gentiloni e Sarraj hanno invece definito una missione di supporto.

Le diverse tribù hanno dunque fatto pressioni su Sarraj affinché prendesse una posizione netta. Il risultato è la nota diffusa nella serata di giovedì dello stesso premier libico nella quale si ribadiva che la «sovranità nazionale è una linea rossa» che non doveva essere oltrepassata. Il lavoro diplomatico ha dato i suoi frutti senza che fosse necessario, a quanto si apprende, un contatto diretto tra i due premier: Tripoli ha successivamente diffuso una nota in cui ribadisce e conferma la richiesta all'Italia di un «sostegno tecnico, logistico e operativo, per aiutare la Libia nella lotta al traffico di esseri umani e salvare la vita dei migranti». Sforzi che possono «prevedere anche la presenza di navi italiane nel porto di Tripoli, solo per questa ragione e in caso di necessità».

Perché «non si accetterebbe nessuna interferenza di questo genere senza un'autorizzazione preventiva e con un coordinamento con le autorità libiche all'interno del territorio e delle acque territoriali libiche». Un'ulteriore garanzia per le tribù, alle quali sono dirette anche le parole di Gentiloni. «Quello che abbiamo approvato non è né più né meno di quanto richiesto dal governo libico», chiarisce il premier. La conferma che il chiarimento è servito e ha prodotto i risultati sperati è nella decisione, d'accordo con il governo libico, di far partire nelle prossime ore per Tripoli un pattugliatore della Marina. I militari faranno una ricognizione finalizzata a mettere a punto nei dettagli il dispositivo navale, sulla base delle richieste e delle esigenze delle autorità libiche, e d'intesa con loro. Il sopralluogo si concluderà entro martedì quando la delibera del Cdm con i dettagli della nuova missione approderà in Parlamento. Saranno le commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato a valutare limiti operativi, regole d'ingaggio e garanzie a tutela dei militari a bordo delle navi. «Mi auguro - è l'auspicio di Gentiloni - che il Parlamento possa dare il via libera con il consenso più largo».

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