La politica si muova e non sia subalterna

di Carlo Nordio
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Mercoledì 25 Gennaio 2017, 00:13
Le inevitabili polemiche che, come avevamo scritto nei giorni scorsi, avrebbero avvelenato la già tragica vicenda di Rigopiano, non si sono sopite. E continueranno a lungo. Ad alimentarle saranno il comprensibile rabbioso dolore dei parenti delle vittime, e la meno edificante spregiudicatezza di chi ne sfrutterà l'impatto emotivo. Tuttavia due voci autorevoli sono intervenute a disinnescarne la potenzialità esplosiva. La prima è stata del Magistrato che conduce le indagini, la seconda del presidente Cantone.

La responsabile della Procura di Pescara, Cristina Todeschini, ha pronunciato parole di prudente saggezza: ha spiegato che l'inchiesta è un atto dovuto, ma ha evitato toni apocalittici e ammonizioni predicatorie, limitandosi a esporre i termini del problema, che in effetti sono numerosi e complessi: la regolarità della costruzione e della sua collocazione, la prevedibilità dell'immensa valanga, la tempestività dell'allarme e del soccorso, l'idoneità delle comunicazioni ecc. Tutto questo, peraltro, sarà solo un inizio. Poi bisognerà dimostrare, ammesso che colpe vi siano, la loro efficacia causale rispetto all'evento. In altre parole se la catastrofe sarebbe stata evitata se queste colpe non vi fossero state. Un'impresa, come si vede, quasi titanica.

Da parte sua il dottor Cantone, parlando della ricostruzione post terremoto, ha stigmatizzato la superficialità, se non proprio la malafede, di chi ha accusato l'Anac, di eccessive cautele e di rallentamenti burocratici. Anche se non strettamente connessa con l'episodio di Rigopiano, la materia è sempre la medesima: il disinvolto cinismo con il quale taluni scriteriati si gettano a capofitto sulle disgrazie altrui per cavarne vantaggio.

Accanto a queste due sortite coraggiose, non si è invece vista una corrispondente e risoluta reazione del governo. Con tutta la comprensione per la collera di chi è accecato dal dolore, avremmo preferito vedere, da parte della politica, un sussulto di orgoglio per il coraggio, l'abilità e la tenacia con cui decine di persone hanno rischiato la vita per salvare il salvabile. L'elicottero caduto ieri, con il suo corteo di morti, dimostra che in ognuna di queste operazioni la tragedia è in agguato, e che se da un lato è lecito deprecare, e se necessario punire, eventuali responsabilità, dall'altro è giusto e doveroso affermare con vigore, e forse anche con altrettanta irritazione, che miracoli non se ne fanno, e che gli unici prodigi sono costituti proprio da quei soccorritori di cui si conoscono i volti soltanto in occasione dei loro funerali.

Questa incomprensibile timidezza è aggravata dalla sensazione che, ancora una volta, la politica intenda devolvere la gestione dei problemi più antipatici ad organismi estranei, come la magistratura o la stessa Autorità anticorruzione. L'incontro, di ieri a Palazzo Chigi, con Curcio e Cantone, è certo una buona cosa se serve a coordinarne le rispettive competenze. Esso tuttavia rischia di essere interpretato come l'ennesima manifestazione di esitazione, se non proprio di subalternità, da parte della politica davanti a eventi che implicano decisioni difficili e forse impopolari. L'Anac ha già una serie di compiti gravosi, che partono dalla definizione del rating di legalità, transitano attraverso il codice degli appalti e si concludono in una vigilanza assidua e contro la corruzione. Un compito straordinario, già assolto in parte con buoni risultati, che non merita di essere integrato da altre incombenze che ne diluirebbero la forza e l'efficacia. Anche qui, vale il vecchio detto di un grande politico: «Ad ogni organismo si diano gli strumenti che servono, e gli si faccia finire il lavoro».
 
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