Caso Trivelle, Enzo Cheli: «Questito troppo tecnico, difficile interessi i cittadini»

Caso Trivelle, Enzo Cheli: «Questito troppo tecnico, difficile interessi i cittadini»
di Diodato Pirone
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Venerdì 15 Aprile 2016, 08:31
Giusto o sbagliato che sia, «ormai è chiaro che l'istituto del referendum abrogativo non gode di buona salute». Il costituzionalista Enzo Cheli, già presidente dell'Autorità garante delle comunicazioni, non ha dubbi sulla crisi dell'istituto referendario e a poche ore dall'apertura delle urne per la consultazione popolare sulle trivelle che tanto divide il mondo politico e non solo, accetta di condividere con il Messaggero una riflessione sul tema.

Allora, professor Cheli, ma di che malattia soffre il referendum?
«Basta dare un'occhiata ai numeri per capire come stanno le cose».

Quali numeri?
«Dei 28 referendum richiesti dal '97 ad oggi solo 4 hanno superato la soglia di partecipazione del 50% più uno richiesta dalla Costituzione».

 

Perché?
«Innanzitutto per la crescita dell'astensionismo, ma anche perché molto spesso i referendum proposti interessavano quesiti tecnici e tematiche di interesse parziale o addirittura molto parziale della popolazione. In questi casi il referendum non ha suscitato l'interesse dei cittadini».

Anche il referendum di domenica pare avere queste caratteristiche.
«E' fuori di dubbio. Sul piano squisitamente tecnico il referendum sulle trivelle interessa solo alcune regioni e un segmento limitato dell'economia. A meno che non scatti qualcosa nell'opinione pubblica».

Cosa professore?
«Se questo referendum venisse considerato dai cittadini come una indicazione sulla politica energetica, assumerebbe un significato generale che sul piano strettamente tecnico non ha. In teoria potrebbe costituire l'occasione per una disanima informata, completa e senza pregiudizi della politica energetica italiana e della strategia del Paese in questo campo. Se il dibattito non fa questo salto di qualità, il referendum resterà nell'ambito delle consultazioni ultratecniche e parziali che costituiscono una deriva un po' malata dell'istituto. Cosi com'è, per capire questo referendum occorre studiarlo. Bisognerebbe conoscerne tutti i retroscena, compreso il dato non irrilevante che faceva parte di un pacchetto di richieste di alcune Regioni in gran parte accolte dal governo».

Ma ha senso ancora ricorrere al referendum?
«Sulle grandi questioni nazionali senz'altro sì. Per questo a me pare che la riforma dell'istituto referendario inserita nella riforma della Costituzione appena varata sia un'ottima soluzione per rivitalizzarlo».

Di cosa si tratta?
«Alle regole attuali, quindi 500.000 firme e quorum del 50% più uno degli elettori, si affianca un altro canale che prevede referendum chiesti da 800.000 elettori con quorum ridotto alla metà più uno dei votanti alle politiche precedenti».

Qual è il senso di questa innovazione?
«Che su argomenti sentiti da una fetta larga della popolazione, corroborati da 800.000 firme, si abbassa l'asticella della possibile approvazione. Il referendum così torna ad essere uno strumento operativo e di alto valore democratico».