Referendum sul jobs act, consulta riunita sull'ammissibilità

Referendum sul jobs act, consulta riunita sull'ammissibilità
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Mercoledì 11 Gennaio 2017, 12:48 - Ultimo aggiornamento: 14:28
È iniziato in Corte Costituzionale l'esame dei referendum proposti dalla Cgil sul Jobs Act per valutarne l'ammissibilità. Tre i quesiti: sulle modifiche all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sui voucher e sulla responsabilità in solido appaltante-appaltatore. Prima saranno gli avvocati della Cgil e l'avvocato dello Stato ad essere auditi. Poi i giudici decideranno in camera di consiglio.

Le firme raccolte dalla Cgil per proporre il referendum sono state 3 milioni. Il primo quesito punta ad abrogare le modifiche apportate dal Jobs Act all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ripristinando le tutele per chi subisce un licenziamento illegittimo non solo per le aziende sopra i 15 dipendenti, ma estendendole a quelle sopra i cinque. Il secondo chiede di abolire i voucher, i buoni lavoro da 10 euro l'ora per le prestazioni accessorie, che il Jobs Act ha esteso ai redditi fino a 7mila euro. Il terzo riguarda il settore appalti e vuole reintrodurre la responsabilità in solido tra committente e appaltatore, senza deroghe. I giudici relatori sono Silvana Sciarra per il primo quesito, Giulio Prosperetti per il secondo e Rosario Morelli per il terzo. Vittorio Angiolini e Amos Andreoni sono i legali che rappresenteranno le istanze referendarie della Cgil a sostegno dell'ammissibilità dei quesiti. Vincenzo Nunziata è invece l'avvocato dello Stato che parlerà a nome della Presidenza del Consiglio chiedendo che la Corte di pronunci per l'inammissibilità.

Igiudici presenti oggi e chiamati a valutare i quesiti referendari sono 13. Il giudice Alessandro Criscuolo, infatti, oggi non è in Consulta. Attualmente, dopo le dimissioni di Giuseppe Frigo, il collegio è costituito di 14 giudici e tra l'altro proprio oggi, alle 16.30, il Parlamento si riunirà in seduta comune, per la prima volta, per tentare di eleggere chi lo sostituirà. Il regolamento prevede che se i giudici presenti sono in numero pari, invece, il voto del presidente valga doppio. Il fatto che oggi il numero dei giudici presenti sia dispari fa sì, quindi, che anche in caso di spaccatura netta della Corte - che potrebbe verificarsi in particolare sull'art.18 - si determinerà comunque una maggioranza, seppure di un voto.
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