Italicum, test per il Colle: ribelli di Pd e Fi in agguato

Italicum, test per il Colle: ribelli di Pd e Fi in agguato
di Marco Conti
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Domenica 21 Dicembre 2014, 06:06 - Ultimo aggiornamento: 10:45
Un anno fa ci teneva ad essere uno dei grandi elettori, ma venne bocciato. Stavolta si guarda bene dall'intrufolarsi tra i 1009 e la partita del Quirinale la seguirà da palazzo Chigi. Non che l'eventualità non sia stata valutata, ma Matteo Renzi preferisce - per quanto possibile - spersonalizzare la battaglia temendo si possa trasformare in un pericolosissimo referendum parlamentare su di sé o, peggio, sul patto del Nazareno.



STERILIZZARE

La supervisione verrà quindi affidata a Lorenzo Guerini che lavorerà in stretta sintonia con i capigruppo Zanda e Speranza. Primo appuntamento, dopo le dimissioni di Napolitano, l'assemblea del partito, poi la direzione e infine i gruppi. Obiettivo, sterilizzare - o quanto meno circoscrivere - la dissidenza interna. Sulla carta la maggioranza di governo (582, compresi i delegati regionali) avrebbe i numeri per eleggere il nuovo capo dello Stato alla quarta votazione dove è richiesta la maggioranza semplice (505) e non i due terzi (672) previsti nelle prime tre votazioni. Se ai 582 voti della maggioranza si sommassero quelli dell'altro contraente il Patto del Nazareno (i 143 di FI), si potrebbe eleggere al primo scrutinio. Leggendo i numeri l'obiettivo sembra a portata di mano, ma l'attuale Parlamento è balcanizzato e i cambi di casacca avvenuti in un solo anno (155), contribuiscono a rendere ancora più viscida ogni intesa. L'assenza dei leader in aula e in Transatlantico (Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo non sono in Parlamento) rischia di rendere ancor più volatile ogni intesa che potrebbe infrangersi alla prova del voto. Come già accaduto.



Il presidente del Consiglio continua a sostenere che della faccenda si occuperà «solo se, e comunque dopo, le dimissioni di Napolitano». Un modo per cercare di tenersi alla larga da un dibattito che ha già fatto alcune vittime. Amato, Prodi, Severino e Rodotà, per motivi e da schieramenti opposti, sono stati prima lanciati e poi impallinati e altri ancora subiranno lo stesso trattamento. Neppure l'opzione del cattolico (Castagnetti, Mattarella o Casini) o della donna (Bonino o Lanzillotta) sembra in grado di orientare, ma un segnale di come andranno le cose si avrà il 7 gennaio quando si inizierà, prima a discutere e poi a votare, la legge elettorale. Sarà quello l'appuntamento decisivo dove Renzi attende Berlusconi per valutare se e fino a che punto il Cavaliere sarà in grado di mantenere il patto del Nazareno.



Se la fronda interna a FI, guidata da Raffaele Fitto, mostrerà i muscoli non votando l'Italicum 2.0, il Rottamatore avrà argomenti buoni per cercare anche altrove i voti necessari, certificando l'indebolimento del Cavaliere e la conseguente marginalità di FI. Proprio ciò che non vuole il Cavaliere che domani sera incontrerà ad Arcore Fitto divenuto, con i suoi 40 eletti, leader di una minoranza interna in grado di trattare direttamente la partita del Colle.



ESITO

Il fuoco continua ad ardere anche nei gruppi del Pd, coperto dai voti di fiducia richiesti a ripetizione dal governo. La cartina di tornasole del malessere interno si avrà al momento del voto a palazzo Madama della legge elettorale. La voglia di scardinare, o comunque di declassare, il patto del Nazareno non è solo della sinistra del Pd ma anche della parte riformista guidata da Pier Luigi Bersani. Un obiettivo fatto proprio ieri anche da Vendola, leader di Sel, che ha rilanciato la candidatura di Prodi.



Un nome che, al di là dell'incontro dei giorni scorsi, risulta indigesto non solo a Berlusconi e ad Alfano, ma anche a Renzi che infatti non ha esitato a rimproverare a Sel di non aver appoggiato il Professore quando ne avevano l'opportunità. Il riferimento al governo nato nel 2006 è evidente e porta con sé l'irrisolto dilemma dell'esperienza dell'Ulivo in un Pd che ha raccolto il 40,8% pescando a destra.



Le incognite son molte. A cominciare dall'atteggiamento che terranno i grillini alle prese con continui smottamenti interni. Malgrado i tentativi di Vendola e le sparate di Civati, la chiave per scardinare il patto del Nazareno non è stata trovata. Ma stavolta, a differenza del 2013 quando si era appena votato, la prospettiva di un possibile ritorno alle urne (qualora il Parlamento mostri tutta la sua inadeguatezza), non è da escludere e rappresenta un deterrente non da poco.