Italicum e referendum, renziani al contrattacco «Non cambiamo nulla» `

Italicum e referendum, renziani al contrattacco «Non cambiamo nulla» `
di Nino Bertoloni Meli
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Martedì 28 Giugno 2016, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 22:43
«Oggi in Spagna, domani in Italia»? Non se ne parla neanche. Il famoso slogan di Carlo Rosselli ai tempi della guerra civile contro Franco non viene importato in casa renziana, non trova eco né sponde. Il risultato elettorale bis di Madrid suona anzi come una negazione della legge elettorale che lì non riesce a dare un governo agli spagnoli, e nel contempo aumenta la percorribilità e la positività dell'Italicum, che entrerà in vigore tra pochi giorni, il primo luglio.

Il motivo è evidente: in situazioni caratterizzate da tre, se non quattro poli come in Spagna, una legge elettorale senza premio e senza doppio turno non è in grado di assicurare maggioranze, assicura soltanto lo stallo, mentre il sistema che da noi supera il Porcellum avrà i suoi difetti, potrà essere accusato di tutto, ma non di non assicurare una maggioranza e quindi un governo la sera stessa delle elezioni.
Anche in Italia si viaggia ormai con il tripolarismo, ma con il secondo turno e con il premio annesso la soluzione c'è, come già avviene con la legge dei sindaci.
 
Ma è qui il primo problema. Proprio la tornata amministrativa ha dimostrato che al ballottaggio non vince necessariamente la squadra del cuore, anzi, c'è stata una sorta di Pd contro il resto del mondo, risoltasi con la sconfitta del primo. Premesse e risultati che spingono per un cambio dell'Italicum? Nel Pd le voci e i suggerimenti perché Matteo Renzi acceda a cambiare la legge elettorale ci sono e si susseguono, ma al momento dai piani alti di palazzo Chigi e del Nazareno giungono precisi niet. «Quanto accaduto in Spagna dovrebbe indurre a qualche riflessione chi ci propone di cambiare l'Italicum che garantisce rappresentanza e governabilità», ha stoppato ancora una volta Lorenzo Guerini, il vice segretario, manifestando quel che è anche un intendimento del premier.

LE POSIZIONI
Lo stesso la pensano dalle parti dei costituzionalisti che sostengono il referendum di ottobre e che si sono battuti per l'Italicum. «Questo voto spagnolo dimostra che in una situazione non più bipolare, se non si opta per un sistema elettorale che consenta ai cittadini di scegliere da chi essere governati come avviene con il doppio turno, o si aprono le porte a larghe intese o si condanna la democrazia all'impotenza», la tesi di Stefano Ceccanti.

Ma che tipo di modifiche, poi? Il ventaglio di proposte va a sventolare sempre lì: o il premio alla coalizione e non alla lista; oppure la possibilità di apparentamenti tra il primo e il secondo turno (ipotesi quest'ultima meno imbastardente la nuova legge). Ma tutte ipotesi che hanno una ricaduta che snaturerebbe l'Italicum su un punto decisivo: si tornerebbe a consegnare la golden share di ogni futura maggioranza ai piccoli partiti del 3 per cento, basterebbero loro 25 deputati per condizionare la maggioranza. «E poi, non si cambia un'impostazione solo perché a vincere potrebbero essere altri, non è che una legge elettorale vada bene solo se vince qualcuno invece di un altro», ragionano nella cerchia renziana e non solo. La parola d'ordine dunque è: non si cambia l'Italicum. Così come non si accede a quell'altra pensata, attribuita giorni fa al premier ma senza conferma alcuna, che Renzi e renziani pensassero di far slittare il referendum di ottobre.

«Il referendum ha dei tempi che non decide il governo, da 50 a 70 giorni», ha spiegato Renzi con i giornalisti in Transatlantico, in pratica si voterà una domenica di ottobre, e comunque in piena sessione di bilancio. Non esisterebbe alcun piano B, in sostanza, ma soltanto calibrare meglio la linea per far capire bene a milioni di persone la vera posta del quesito che va molto al di là del merito referendario, investe il futuro politico, economico e finanziario del Paese. «Se lo si vuole trasformare in un Renzexit, si sappia a che si va incontro», il monito dei renziani di prima fascia.
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