Italicum, il nuovo patto Renzi-Berlusconi smina i franchi tiratori per il Colle

Italicum, il nuovo patto Renzi-Berlusconi smina i franchi tiratori per il Colle
di Marco Conti
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Mercoledì 21 Gennaio 2015, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 10:47
«Ma passa, passa. Qui vogliono arrivare tutti al 2018!». Ci vuole il realismo dell’ex ministro e senatore azzurro Francesco Nitto Palma - parlamentare alla quarta legislatura - per capire, a metà pomeriggio - che anche i dissidenti di Pd e FI non hanno nessuna intenzione di fermare il treno dell’Italicum e di pregiudicare il vitalizio non ancora maturato. Dettagli, forse, di una battaglia che Renzi ha combattuto con Berlusconi in maniera talmente evidente da irritare molti della ditta-Pd. «Se qualcuno della sinistra mi parla ancora della ditta gli rido in faccia. Qui siamo passati dalla ditta all’azienda!», sbotta Augusto Minzolini, senatore azzurro che promette di votare contro l’Italicum «fino in fondo».



Sarà quindi uno dei «tredici», numero fatto ieri mattina da Denis Verdini nel corso dell’incontro a palazzo Chigi con Berlusconi, Letta, Renzi, Lotti e Guerini. «I nostri saranno una ventina in tutto, ma sul voto finale potrebbero essere anche meno», ribatte il vicesegretario del Pd.



La vittoria sembra a portata di mano, anche se si inizierà a votare oggi e si chiuderà solo la prossima settimana. Renzi difende i cento capilista bloccati e l’impianto della legge che prevede il premio di maggioranza alla lista vincente. La sinistra del partito perde pezzi, ma la frattura resta consistente insieme al rischio di ritrovarsi, al momento del voto finale, senza la maggioranza che guida il governo. Musica per le orecchie di Silvio Berlusconi che non aspetta altro, e problema non da poco sia per Renzi - che si ritroverebbe nelle condizioni di Enrico Letta - e per la sinistra del Pd che, dopo aver rimproverato al premier di trattare con Berlusconi, consegnerebbero il partito ad un’alleanza stabile con FI permettendo anche all’uomo di Arcore di alzare la posta sul Quirinale.



A palazzo Grazioli sostengono che ieri mattina Berlusconi e Renzi non abbiano parlato del successore di Napolitano. Tantomeno che il premier abbia fatto nomi che «Berlusconi, per come è fatto, avrebbe rivelato nel giro di ventiquattrore». Però, e questo è ciò che conta, hanno condiviso il metodo da seguire per trovare insieme una strada per il dopo Napolitano. I due si rivedranno martedì, quando il presidente del Consiglio inizierà il giro delle delegazioni di partito. Il profilo che Renzi disegna, «un garante di tutti», per ora basta a Berlusconi che in questi giorni sta incassando - malgrado sia ancora consegnato ai servizi sociali - un dividendo politico in grado di legittimare l’ennesimo ritorno sulla scena.



TRAPPOLE

Lo stress-test sull’Italicum, imposto al partito di cui è segretario e alla maggioranza, sta producendo non poche tossine. Renzi non sembra preoccuparsene. Tanta è l’irritazione per «il comportamento ricattatorio» che avrebbe avuto la minoranza Dem. «Con me quelli hanno chiuso, pensavano di mettermi in un angolo e ci sono finiti loro». Il premier è infatti sempre più convinto che la sinistra del partito stesse lavorando per affossare definitivamente le riforme, indebolire il governo e logorare la sua leadership. Il premier mette in fila la polemica sul decreto fiscale del 3%, sino alla porta sbattuta di Cofferati. «Trappole, solo trappole, ma hanno sbagliato a fare i conti. Un’altra volta», sosteneva ieri pomeriggio il premier.



La mancata saldatura tra le minoranze del Pd e di FI, insieme all’interesse di Lega e M5S per il premio di lista, hanno fatto il resto. Così come è stato decisivo il riavvicinamento tra Berlusconi e Alfano (i due si rivedranno oggi) che ha indebolito la fronda raccoltasi intorno Raffaele Fitto il quale ieri è uscito dall’incontro con l’ex Cavaliere comunque convinto di poter giocare ancora un ruolo importante in FI.



I numeri che potrebbero venir fuori dalla prova generale sull’Italicum, spiegano perché Renzi nei giorni scorsi abbia parlato dell’elezione del capo dello Stato al quarto scrutinio. Le minoranze di Pd e FI potrebbero anche votare contro il candidato frutto dell’intesa tra Renzi, Berlusconi e Alfano, ma non basterebbero a comprometterne l’elezione dal quarto scrutinio in poi quando è sufficiente la maggioranza assoluta. Calcolatrice alla mano il patto a tre è in grado di reggere sino a 190 franchi tiratori, più del triplo di coloro che da oggi si schiereranno contro la legge elettorale.