Italicum, i mediatori Pd in pressing sul premier

Italicum, i mediatori Pd in pressing sul premier
di Alberto Gentili
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Domenica 21 Agosto 2016, 10:58 - Ultimo aggiornamento: 21:39

ROMA «E' come scalare una montagna a piedi nudi, ma provo davvero a trovare un'intesa su come correggere l'Italicum». Matteo Orfini, da sotto l'ombrellone, veste i panni del mediatore. E la mediazione, in casa Pd, è lo sport del momento. Con una eccezione di tutto riguardo: Matteo Renzi resta alla finestra, attende il 4 ottobre, giorno in cui la Consulta si pronuncerà sulla legge elettorale osteggiata dalla minoranza dem e da mezzo Parlamento. Grillini esclusi. «Solo dopo il giudizio della Corte costituzionale, Matteo scoprirà le carte. Se la Consulta darà giudizio di legittimità, l'Italicum resterà così com'è. Se avanzerà eccezioni o perplessità si aprirà, invece, il cantiere per una nuova versione della legge elettorale», dice un renziano di rango che in queste ore ha parlato con il premier, «ma in ogni caso la direttrice di marcia resta quella di sempre: non toccare nulla fino al referendum costituzionale. Poi, si vedrà».
 
MEDIATORI AL LAVORO
Nell'attesa, si moltiplicano i pontieri e i mediatori. Oltre al presidente del partito Orfini, venerdì si è mosso il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Il leader dei giovani turchi ha detto più o meno ciò che ha affermato a più riprese il suo compagno di corrente Orfini: «Sarebbe ragionevole, alla luce di un sistema diventato ormai tripolare, una norma che eviti il doppio turno». Parole apprezzate dalla minoranza con Miguel Gotor. E rilanciate venerdì alla festa dell'Unità di Reggio Emilia da Vasco Errani, in campo da qualche giorno come elemento di cerniera tra renziani e sinistra interna: «Il Pd deve avere la capacità di ascoltare anche le ragioni del no al referendum, costruendo un nuovo equilibrio tra la riforma costituzionale e la legge elettorale. Serve un'iniziativa politica di tutto il partito».
Ed è l'iniziativa cui, sottotraccia, lavorano appunto Orfini e Orlando. Ma anche il ministro della Cultura, Dario Franceschini che il 4 luglio, in occasione della riunione della Direzione dem, propose di abbandonare il premio alla lista per abbracciare il premio alla coalizione invocato da centristi di Angelino Alfano e dal centrodestra che, in questo modo, avrebbe più probabilità di raggiungere una coabitazione tollerabile. Tra l'altro perfino Giorgio Napolitano, sempre in luglio, aveva disconosciuto la legge elettorale di cui è stato padre putativo: «Con un sistema tripolare va considerata una revisione dell'Italicum, il ballottaggio infatti rischia di affidare il governo del Paese a una forza politica di troppa ristretta legittimazione al primo turno». Traduzione: i Cinquestelle che, come hanno dimostrato le elezioni comunali di Torino e Roma, al secondo turno rastrellano voti sia a destra che a sinistra.

L'ATTESA DELLA CONSULTA
Il problema, però, è che fino al 4 ottobre Renzi intende restare a guardare per non offrire il destro a Beppe Grillo, che già l'accusa di voler cambiare l'Italicum per non far vincere i Cinquestelle. E perché sa bene che fino alla sentenza della Consulta e, più probabilmente fino al referendum di novembre, anche chi è interessato alla revisione della legge elettorale se ne starà rintanato.
Una impostazione non condivisa dai vari Orlando, Orfini e Franceschini. Così, nell'attesa, la squadra dei pontieri è determinata a verificare (con centristi, forzisti e sinistra) se esistano margini per saldare in Parlamento una maggioranza con cui cambiare l'Italicum e cancellare il ballottaggio. «Del resto», spiega Orfini, «Renzi non ha posto veti. Ha detto che se una maggioranza si trova, lui non si metterà di traverso. Tentare il dialogo serve per lo meno a svelenire il clima».
 
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