Isis in Libia, Renzi: «Ora non è tempo di azioni militari»

Isis in Libia, Renzi: «Ora non è tempo di azioni militari»
di Marco Conti
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Lunedì 16 Febbraio 2015, 18:13 - Ultimo aggiornamento: 20:38
Non è il momento per un'azione militare: Matteo Renzi frena sull'ipotesi di un intervento in Libia dopo tre giorni di minacce dei jihadisti contro l'Italia e «il ministro crociato» Gentiloni, che venerdì aveva affermato che l'Italia è «pronta a combattere» in un quadro di legalità internazionale.

«La visione del governo è una sola e tutti la condividono», ha assicurato il premier, invitando alla «saggezza» e avvertendo che sulla Libia «non si può passare dall'indifferenza all'isterismo». La proposta è «aspettare il Consiglio di sicurezza Onu». Renzi ha fatto sentire la sua voce mentre gli F-16 egiziani in coordinamento con i caccia libici martellavano le postazioni dell'Isis e di Ansar al Sharia a Derna e Sirte: il bilancio, secondo i militari libici fedeli al governo legittimo, costretto a riunirsi a Tobruk, è di almeno 64 combattenti uccisi. Ma altri 35 egiziani sarebbero stati rapiti, e dopo la barbara uccisione dei 21 copti su una spiaggia libica si teme la loro sorte sia già segnata.



Il Cairo, assieme a Parigi, preme per una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu: il presidente Abdel Fattah al Sisi ha fatto della Libia una delle priorità del suo governo. E già in estate ha elaborato un piano per la stabilizzazione del Paese, in concorso con le altre nazioni confinanti, Algeria in testa. Ma al Palazzo di Vetro, almeno per il momento, il progetto non ha ottenuto luce verde. La Francia tira le fila del negoziato, e una riunione urgente potrebbe tenersi già mercoledì. L'esito potrebbe essere quello della nascita di una coalizione specifica per la Libia.



La situazione è stata al centro della lunga telefonata tra Sisi e Renzi, che hanno valutato i passi politico-diplomatici, «nel quadro del Consiglio di sicurezza Onu» per riportare pace e sicurezza nel Paese. La linea di Roma - il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni riferirà mercoledì mattina alla Camera - resta quella di puntare su un dialogo e un negoziato tra le due principali fazioni rivali, le milizie filo-islamiche al potere de facto a Tripoli e il Parlamento di Tobruk, eletto a giugno. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che giorni fa aveva giudicato «urgente» l'intervento militare e evocato una disponibilità a schierare 5.000 soldati, ha sottolineato oggi che bisogna mettere intorno a un tavolo «i soggetti moderati». Il ministro ha poi paventato il pericolo che la «Libia diventi una nuova patria del Califfato.



Pensate che succederebbe con un territorio così ampio in mano alle forze del male». Proprio su questo fronte, e sul rischio di una Libia 'somalizzatà ponte per attacchi all'Europa, Renzi raffredda gli animi: «Quando sento 'o interveniamo o ci sono attentatì vorrei ricordare che gli attentati in Ue sono di figli di cittadini europei. Non voglio sottovalutare i problemi in Libia o in Siria, ma la realtà è più complessa dei nostri slogan», ha osservato. Il collega libico Abdullah al Thani aveva chiesto «alle potenze mondiali di sostenere la Libia e intraprendere azioni militari, o questa minaccia (l'Isis) si sposterà nei Paesi europei, in particolare l'Italia». In ambito diplomatico, l'Onu, per bocca dell'inviato speciale Bernardino Leon, è tornata a invitare le parti a formare «un governo di unità nazionale». Leon chiede lo stop ai combattimenti e l'impegno contro l'espansione dei gruppi terroristici. «Con la determinazione e la perseveranza - ha detto - la Libia ha ancora la chance di sconfiggere la guerra e il terrorismo».



È difficile comprendere se la via diplomatica abbia effettivamente una possibilità di riuscita.
I militari filo-governativi libici sembrano intenzionati a chiudere la partita non solo con l'Isis e Ansar al Sharia, ma anche con i miliziani dell'Operazione Alba (Fajr Libya), al potere de facto a Tripoli, e bollati dal Parlamento di Tobruk come «terroristi». I miliziani, dal canto loro, hanno definito Sisi un «terrorista» e condannato i bombardamenti su Derna. Al Thani ha spiegato che «il dialogo è l'unica strada per salvare la Libia» ma che «i colloqui devono partire dalla constatazione che il Parlamento è l'unica assemblea legittimata, questa è la nostra linea rossa». E ha avvertito che «se il dialogo fallisce, c'è un'altra opzione, l'uso della forza militare». Una terminologia che sa più di ultimatum che di apertura ai rivali di Tripoli e che arriva proprio nel quarto anniversario dall'inizio della rivoluzione contro Muammar Gheddafi, il 17 febbraio 2011.
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