Il governo disinnesca il referendum lombardo-veneto: soldi buttati, bastava una lettera

Zaia (ansa)
di Alberto Gentili
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Martedì 3 Ottobre 2017, 09:39 - Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 10:09

L'approccio di Paolo Gentiloni come al solito è felpato. Fedele al suo mantra, «il governo lavora e non si occupa di politica e di polemiche», il premier non lancia anatemi contro il referendum di Lombardia e Veneto in programma il 22 ottobre. Figurarsi dopo la domenica di fuoco in Catalogna. Ma tra i ministri, a cominciare da Claudio De Vincenti e da Gianluca Galletti, i giudizi sulla consultazione promossa dai governatori leghisti Bobo Maroni e Luca Zaia sono tutt'altro che lusinghieri: «Oggi è già possibile per le Regioni ottenere maggiore autonomia su determinate materie senza bisogno di ricorrere al referendum e senza spendere tanti soldi. Basta scrivere una lettera al governo, come ha fatto l'Emilia Romagna». In due parole: «Pura propaganda», quella di Maroni e di Zaia.

LA PRUDENZA DEL PREMIER
Temi che a palazzo Chigi non intendono affrontare: «Premesso che le consultazioni in Lombardia e Veneto sono una cosa diametralmente opposta a ciò che accade in Catalogna, in quanto si muovono nel perimetro fissato dalle leggi e dalla Costituzione», dice uno dei consiglieri più vicini al premier, «la discussione sull'eventuale inutilità e sui costi la lasciamo alla polemica politica. Noi siamo assolutamente neutrali». Tanto più che Gentiloni non ha intenzione di logorare «gli ottimi rapporti con Zaia e soprattutto con Maroni, con cui c'è una forte collaborazione per portare l'Agenzia europea del farmaco a Milano».

Diverso l'approccio del ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno: «I due referendum sfondano in realtà una porta aperta», dice De Vincenti, «ma va ricordato che per attivare, come chiedono i due quesiti referendari, la procedura prevista dall'articolo 116 della Costituzione in materia di ulteriori forme di autonomia c'è una strada, scelta dall'Emilia Romagna, più rapida e meno costosa: basta una lettera del presidente della Regione. E su questo il governo è del tutto aperto al confronto. Tant'è che comunque vadano i due referendum, da parte nostra c'è totale disponibilità al dialogo».

Sulla stessa linea di De Vincenti si attesta il ministro dell'Ambiente: «La strada migliore è quella scelta dall'Emilia Romagna, cioè quella di chiedere l'autonomia tramite l'articolo 116 della Costituzione», afferma Galletti. E spiega: «Oggi è già possibile avere più autonomia su determinate materie, senza bisogno di ricorrere al referendum. Io non sono contrario che alle Regioni venga data più autonomia. Quello che chiedo è un riordino delle competenze: alcune devono andare in capo allo Stato perché questo vuol dire meno burocrazia. Quindi si tratta solo di sistemare, non di diminuire l'autonomia delle Regioni». E afferma il viceministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini: «Il referendum sull'autonomia non ha alcuna utilità per due questioni di fondo. La prima: non incide sul percorso istituzionale che deve comunque passare attraverso un tavolo con il governo. La seconda: non attiene la ripartizione delle tasse come affermato da Maroni. Non lo permette il dettato costituzionale».

«MOSSA INUTILE»
Anche la parola d'ordine del Pd è «inutilità». Ecco il vicesegretario Maurizio Martina: «Vedrete che l'Emilia Romagna, usando gli strumenti che già ci sono, arriverà prima di Lombardia e Veneto a chiedere il federalismo differenziato su alcune competenze.

E lo farà senza spendere un euro». Ed ecco Franco Mirabelli: «Se anche vincesse il sì non cambierebbe nulla, già oggi è possibile sedersi al tavolo con il governo per chiedere l'applicazione della Costituzione che afferma che alcune Regioni che hanno mostrato una buona capacità amministrativa e di gestione di bilancio possono ottenere maggiori competenze di quelle che già gli vengono riconosciute».

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