Giustizia, Cantone: «Stop alla gogna per gli indagati, serve garantismo»

Giustizia, Cantone: «Stop alla gogna per gli indagati, serve garantismo»
di Sara Menafra
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Giovedì 19 Ottobre 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 00:03

Raffaele Cantone è presidente dell’Anac, e dunque ha continuamente a che fare con amministratori locali che appaiono sempre più spaventati dal rischio di incappare in un avviso di garanzia. La circolare del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, però, la legge anche indossando i vecchi abiti del pm alle prese con indagini scottanti. «Un’iniziativa giusta - dice subito - che spero sarà imitata. Ma il vero problema è a monte e riguarda la mancanza, nel nostro paese, di una saggia cultura garantista». 

Presidente, secondo lei la circolare diramata nelle scorse settimane dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, in cui si chiede ai pm di non iscrivere “automaticamente” le persone segnalate in informative o denunce, è giusta? L’automatismo dell’”atto dovuto” è davvero così in voga? 
«Mi pare una posizione opportuna, utile a svelenire il clima dalle strumentalizzazioni. Ovviamente, faccio notare che non cambia il Codice e resta per i magistrati uno spazio di discrezionalità. E lo dico perché, se da un lato plaudo a questa iniziativa, credo, però, che qui si giochi una partita più alta che tocca la cultura del nostro paese. Qui, la tradizione del garantismo fatica ad affermarsi, perché si continuano a scambiare per effetti negativi quelli che sono di per sé principi a tutela di tutti i cittadini. Dobbiamo tenere a mente che l’iscrizione al registro degli indagati non implica una indicazione neanche prognostica di responsabilità. È una premessa indispensabile». 

Il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, dice che l’iscrizione al registro degli indagati espone i soggetti che vi incappano ad una vera e propria gogna. 
«Credo che abbia ragione e che effettivamente sia una situazione su cui è necessario fare chiarezza. L’intervento del procuratore di Roma Pignatone è un provvedimento esplicativo utile proprio ad evitare che si generino situazioni di tensione attorno a soggetti che possono esserne danneggiati da mille punti di vista, che siano essi semplici cittadini, politici o imprenditori». 

In sintesi, lei dice che l’iscrizione è e resta un atto dovuto?
«Ricordiamoci che chi ha inserito questo articolo nel codice l’ha fatto con la prospettiva di tutelare l’indagato, di poter far sentire le sue ragioni, di garantirlo. Si voleva che l’indiziato di un crimine fosse immediatamente iscritto al registro degli indagati, perché da quel momento i suoi diritti sarebbero stati maggiormente tutelati, mentre l’iscrizione tardiva lo esponeva al rischio di essere sottoposto ad accertamenti senza i giusti controlli. Il magistrato inquirente deve riuscire a muoversi in un equilibrio difficile. Ai due estremi ci sono due violazioni altrettanto gravi. Lo dico con il ragionamento che rischia di fare il pm: se iscrivo tardi rispetto alle notizie che mi sono giunte, violo la legge ma ho più tempo per indagare. Se iscrivo troppo presto, rischio di esporre al clamore mediatico una persona sulla quale non sono stati raccolti sufficienti elementi». 

Stavolta, la domanda è rivolta al Cantone presidente di Anac: politici e amministratori locali da tempo dicono di essere vessati dalle procure, che si sentono sotto assedio. È un tema portato avanti anche in alcune iniziative pubbliche dall’Anci. Lei che ne pensa?
«È una tematica particolarmente in voga, è stato sottoposto anche a me, ed è persino tema di convegni e dibattiti. La paura dell’avviso di garanzia, in particolare per abuso d’ufficio, con accuse che magari si rivelano infondate, sembra diffusa e la conseguenza è che la paura di essere indagati diventa un viatico della paralisi della pubblica amministrazione. La mia impressione è che questo timore sia a volte eccessivamente enfatizzato, usato come una scusa, mentre non sempre è giustificato dai fatti. Detto dunque che non possiamo accettare che queste paure blocchino le amministrazioni, è evidente che un sistema di maggiore efficienza sull’uso delle indagini preliminari può essere utile per svelenire il clima».

Gli amministratori pubblici devono correre il rischio, insomma?
«Diciamo che non è facile trovare strumenti capaci di sterilizzare sempre e comunque il rischio di incappare in un’indagine che si conclude con un nulla di fatto. Lo ripeto, a costo di sembrare ossessivo: il problema andrebbe risolto a monte, cercando di riportare nel dibattito pubblico la cultura delle tutele e delle garanzie. Per quanto iniziative come quelle del procuratore Pignatone siano da salutare con favore, solo raffreddando gli animi davanti ad accertamenti preliminari potremo evitare gli effetti paradossali che vediamo ciclicamente nel circuito mediatico». 

È vero, però, che specie quando si tocca la politica, i cittadini chiedono di sapere in tempi celeri chi è coinvolto in un procedimento giudiziario. E i tempi della giustizia sono spesso molto lunghi. 
«Certo, è una richiesta giusta, purché non diventi una scusa per coprire le strumentalizzazioni. Il tema della lunghezza dei processi è una patologia del nostro sistema processuale. Questo riguarda il mondo istituzionale, imprenditoriale e i cittadini comuni. Devo dire che nella riforma Orlando ci sono una serie di istituti che provano ad affrontare la questione, ad esempio la possibilità per il procuratore generale di avocare il fascicolo per contrastare il rischio delle iscrizioni prolungate sine die. Quindi, anche in questo caso si sta provando ad intervenire, sebbene permangano problemi di carattere organizzativo. Il monitoraggio fatto sempre dal ministro in tema di prescrizione, ha evidenziato che c’erano situazioni a macchia di leopardo nel nostro paese, che erano anche il riflesso della capacità organizzativa dei singoli uffici. I principi di garanzia potranno essere più facilmente applicati quanto più i tempi del processo saranno rispettati». 

Lei si augura che la circolare del procuratore di Roma venga ripresa?
«Assolutamente e credo anche che avverrà, mi pare che sia un intervento positivo anche come prova dell’attenzione delle procure nei confronti non solo degli indagati eccellenti, ma di tutti i cittadini». 

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