Giachetti: «Il Pd ha toccato il fondo smarcarmi non è servito»

Giachetti: «Il Pd ha toccato il fondo smarcarmi non è servito»
di Claudio Marincola
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Giovedì 23 Giugno 2016, 10:44 - Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 10:54
Roberto Giachetti ha sentito? Già si comincia a dire che se il Pd ha perso al ballottaggio è perché lei si è isolato troppo?.
«Non direi proprio. Ho fatto iniziative con tutti, addirittura con Bersani, che pure non mi sembra così vicino alle mie posizioni. La verità è che già quando ho fatto le primarie ho capito che aria tirava. Eravamo messi proprio male: a Robe', mi dicevano i nostri iscritti, non sarai mica venuto qui a farci la lezioncina».

E lei?
«Compresi che bisognava fare una campagna tutta impostata sull'ascolto e con umiltà mettersi a sentire gli umori della città. E questo ci ha consentito di arrivare al ballottaggio. Ho percorso 2.000 km che poi sono diventati alla fine del ballottaggio 5.500 per sentire le ragioni di tutti. Ma già iniziavano ad arrivarmi le prime critiche. Non sei troppo aggressivo, mi dicevano. Non si rendevano conto di qual era lo stato dell'arte».

 

Il Pd come zavorra?
«Questa parola non l'ho mai detta ma il leit motiv della campagna in buona sostanza è stato questo: Peccato che sei del Pd, sennò ti votavo. Il Pd ha avuto una responsabilità. Prima con Alemanno, uno sterile consociativismo che ci ha allontanato in particolare dalle periferie: strillavano in piazza e poi chiedevano i posti nei cda. E poi con Marino. Se oggi giri e pronunci il nome di Marino la gente ti corre appresso. Si capiva come sarebbe finita. E dopo il ballottaggio abbiamo trovato un muro».

Una disfatta di queste dimensioni però non si poteva immaginare.
«C'è stata una degenerazione di una dinamica correntizia che si è amplificata ed è esplosa dopo la sconfitta di Rutelli, con l'inizio della giunta Alemanno ed è proseguita fino alla caduta di Marino. Però una cosa ci tengo a dirla».

Prego
«Non ho alibi. Sapevo esattamente già quando decisi di candidarmi alle primarie qual era la situazione. La sconfitta perciò m'appartiene. C'erano due opzioni, io e lei. E i romani hanno scelto».

Nessun tradimento, dunque.
«Ho fatto iniziative con tutti, anche con la minoranza. E mi sono tenuto le mani libere. Ma è opportuno che gli altri riflettano e chi ha parlato finora stia zitto. Perché io mi carico tutto, certo, anche il passato. Ma nel passato non sono stato né nell'amministrazione né a governare il Pd».

Tutti zitti, anche Orfini?
«Mi pare sia in scadenza. Con me è stato di una lealtà assoluta. Quando ho fatto i nomi della giunta non ho ricevuto nessuna pressione. Ma ora dobbiamo pensare al futuro, superare il commissariamento e rilanciare la politica. Non penso che non si sia fatto nulla. Penso che si sia fatto poco. Il lavoro di Barca e il commissariamento hanno inciso. Non abbastanza, però. Questo partito deve diventare di nuovo un luogo di attrazione per chi vuole fare politica. Abbiamo toccato il fondo: ricominciamo dai comitati di quartiere, dalle reti dei cittadini senza piangerci troppo addosso e facendo tesoro della cavolate fatte in passato. Non basta andare in periferia solo in campagna elettorale».

Prima le avevo chiesto se si è sentito tradito e da chi.
«A parte D'Alema, che aveva detto quel che pensava di me già dalla Gruber, non ricordo altri casi».

Per disciplina di partito però l'ha votata?
«Ho letto. Ma bastava leggere due righe più giù per apprendere che voterà no al referendum. Mi chiedo dunque cosa intenda per disciplina di partito. Ma fermiamoci qui, non voglio fare polemiche».

È giusto dire che a un certo punto lei ha sentito il bisogno di smarcarsi dal Pd?
«È la verità: ho imposto una linea di assoluta rottura con quel che è accaduto negli anni passati. Liste pulite, facce nuove, rottura con un sistema di un certo tipo».

Riuscirà a conciliare il ruolo di vice presidente della Camera e di capo dell'opposizione in Campidoglio?
«Se ci sono riuscito in questi mesi vuol dire che potrò continuare a farlo».

Che opposizione sarà?
«Cinque mesi fa, ho preso un impegno con Roma. Che diventassi sindaco o meno, intendo tenere fede a quell'impegno e dare il mio contributo a rilanciare il nostro partito, ma molto di più per lavorare dall'opposizione al riscatto della città. Saremo determinati e costruttivi. Sfideremo i 5Stelle sulle cose concrete. Esempio: cosa faranno adesso con Rettighieri che ha portato in Procura le malefatte dell'Atac? Lo faranno saltare gettando nel caos l'azienda? E con lo stadio della Roma? Un giorno la Raggi dice di non volerlo fare, un altro ci ripensa e dice sì mentre il suo assessore all'Urbanistica già spara a palle incatenate».

Non è che il governo ora si metterà di traverso?
«Il governo lavorerà per il bene della Capitale».

Detto sottovoce e in tutta franchezza, lei che idea s'è fatto della Raggi?
«Finora ha parlato per slogan, imparando la paginetta a memoria. Vedremo quando ci saranno da dire i primi sì e i primi no se saprà decidere da sola o se invece, come penso, le verrà imposto tutto dall'alto».