Gentiloni, il realismo senza chimere di Paolo il Calmo: «Nun ce se crede...»

Gentiloni, il realismo senza chimere di Paolo il Calmo: «Nun ce se crede...»
di Mario Ajello
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Venerdì 29 Dicembre 2017, 08:24
Il «Nun ce se crede» è lui. Chi poteva immaginare che Paolo Gentiloni, quello che doveva essere il supplente, la fotocopia (sia pure caratterialmente diversa da Renzi) e il notaio, potesse risultare alla fine (ma «il governo governerà») il simbolo anti-eroico di un nuovo «orgoglio» dell'Italia che pensava di essere peggio e ha scoperto di essere meglio di quanto si potesse immaginare? Il premier «Nun ce se crede» ha fatto mostra di ottimismo e di grande soddisfazione, ma proprio ricorrendo a questa formula lessicale romanesca non sbracata, tutt'altro che magniloquente e leggermente spiritosa, ha voluto ribadire una certa idea di Italia che s'è andata imponendo nell'ultimo anno e potrebbe tornare utile nell'immediato futuro: lontana da ogni retorica, discontinua rispetto a ogni eccesso partigiano e a ogni stagione dell'iperbole (berlusconiana-renziana-grillina), fiduciosa in se stessa senza troppe fanfare.

L'ACME
Magari questa del gentilonismo, che ieri ha avuto il suo acme scenografico nell'assenza di mimica e nelle risposte mancate o spesso ripetute senza variazioni pur di troncare e sopire le smanie di chi voleva stanare il premier in conferenza stampa, sarà soltanto una parentesi oppure no. Di fatto, «nun ce se crede» che in una legislatura «travagliata», come ha detto lui stesso, l'unico quieto è stato lui. E l'auto con cui ieri è andato e tornato e riandato e ritornato sul Colle, in un viavai che nulla ha avuto di frenetico, sembrava la sola ieri a Roma capace di evitare le buche, le scivolate sui sanpietrini bagnati e sconnessi e le pozzanghere in cui ci si può impantanare. Un tragitto impensabilmente tranquillo, ecco: sintesi di questo ultimo strano anno di legislatura, in cui Gentiloni, con un savoir faire da vecchio politico, ha evitato trappole e sgambetti. Diventando l'uomo che scansandosi avanza, il premier che piace perché ha il senso delle proporzioni e soprattutto il senso del proporzionale.

Non ha una visione Paolo «Nun ce se crede» Gentiloni? Per chi vede nella politica i grandi progetti, il realismo senza chimere di Gentiloni ha qualcosa di asfittico. Ma non è detto che avere visione debba significare ostentare un carisma e una forza che non si hanno, o insistere su uno storytelling. C'è invece la praticità di una visione, magari non condivisibile ma c'è, nell'affermare che la legge sullo ius soli andava fatta e dovrà essere fatta ma in assenza di numeri parlamentari non c'è norma che possa essere approvata. C'è una visione nell'indossare il loden, simbolo di pacata competenza un po' vintage, e non è certo una visione penitenziale della sobrietà e uno sfoggio di anti-italianità pseudo-teutonica come è stato nel caso di Mario Monti. E non è a suo modo una visione, improntata alla non teatralità e al gusto della sdrammatizzazione, quella contenuta nel «nun ce se crede» (che l'Italia è tra i campioni dell'export e che si è superata una crisi economica profonda, ma resta tanto da fare) contrapposta a quella del «vaffa»?

«Pochi annunci ma molte decisioni» non sarà stato un programma massimalista né sexy, ma neppure moderato o banale. E di certo al gentilonismo, se vorrà continuare ad esistere, un surplus di progettualità, di energia creativa e di discorso generale su che cosa il Paese vorrà essere non dovrà mancare. Perché l'approccio minimal va bene per un po', ma non può diventare una filosofia permanente. Ma il lascito del premier uscente eppure governante è quello di un politico abile a non impaludarsi in un'Italia immobile, che però è tornata a crescere. E la strana leadership di Gentiloni è cresciuta, per esempio, introducendo in politica la categoria del governante impopulista, non ossessionato dalla tivvù (non lo si è quasi visto sul piccolo schermo e comunque il suo esordio è stato non a caso da Pippo Baudo in una gara a chi era più rassicurante) e cultore acrobatico di un concetto di lealtà in cui lui non ha tradito Renzi ma nemmeno se stesso. Risultando quasi credibile perfino nelle ripetute difese di Maria Elena Boschi. E osando citare, nel discorso di ieri, Enrico Letta, notoriamente non amato dal Giglio Magico. Oltretutto la sua lealtà esibita serve come atout per il futuro non solo agli occhi di Renzi, ma anche di Berlusconi e di altri in caso di larghe alleanze.

ANTI-TITANICO
Il suo potere di rassicurazione sull'elettorato, almeno di quello che si è accorto di lui, è indiscutibile. Basti vedere gli indici di gradimento di Gentiloni. E «senso del dovere più senso della misura», autocitazione, fungono appunto nel suo approccio a riattivare la fiducia verso la politica e a sconfiggere le «vendite di paure e i dilettanti allo sbaraglio». E qui, com'è apparso lampante nella conferenza di fine legislatura, c'è la proposizione di un format elettorale. Resta da vedere, però, quanto il Pd saprà o vorrà proporre Gentiloni nella maniera in cui già i cittadini sembrano percepirlo, ossia più come riserva della Repubblica che come uno dei tanti notabili del partito. Non sarà facile insomma, né per lui né per i dem, gestire il «Nun ce se crede» nella fase di campagna elettorale che si apre adesso. Mentre Berlusconi, al netto delle smentite, ha le idee più chiare su Gentiloni e lo ha indicato, due settimane fa, come capo del governo che, in caso di stallo, dovrebbe riportarci al voto dopo qualche mese. E tutti sanno che Paolo il Calmo sarebbe il punto d'incontro tra un Berlusconi moderato e desalvinizzato e una sinistra orfana della vocazione maggioritaria e magari, chissà, libera dall'ossessione di non volere nemici a sinistra. Intanto, il leader anti-titanico («Leader? Ma chi, io?») non ha tirato a campare ma non ha neanche tirato le cuoia e ha fatto squadra con i ministri, dimostrando che esistono politici competenti: da Minniti a Calenda.

E quanto a un Gentiloni bis, «non intervengo sull'argomento»: ha detto ieri. Ma è il primo a sapere che, se la Necessità lo richiede, visto che in lui il concetto di Volontà è ben dissimulato, è prontissimo a succedere a se stesso.
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