Fisco, la mano del Quirinale contro il condono sui contanti

Fisco, la mano del Quirinale contro il condono sui contanti
di Alberto Gentili
5 Minuti di Lettura
Domenica 23 Ottobre 2016, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 09:16

«Con il Sì chiedo agli italiani di dare più forza al nostro Paese. Se la riforma costituzionale sarà approvata, l’Italia sarà più stabile e più autorevole e potrà ottenere le riforme strutturali che servono all’Europa». Più si avvicina la data del 4 dicembre, il giorno dell’Armageddon referendario, più Matteo Renzi tira fuori dal cilindro «nuove ragioni» per spingere a votare Sì anche «chi mi detesta o gli sono antipatico». «Perché», come spiega il ministro Graziano Delrio, «Matteo non va in giro in Europa a fare il pazzo, ma a difendere gli interessi degli italiani».

E’ dunque scontato che nulla, su richiesta di Bruxelles, cambierà nella legge di stabilità fino al giorno del voto. Tantomeno le misure più popolari (e più costose). Nelle ultime ore, invece, palazzo Chigi e l’Economia hanno provveduto a qualche ritocco su richiesta del Quirinale. Prima di controfirmare il decreto fiscale, i tecnici della presidenza della Repubblica hanno chiesto e ottenuto che sparisse dal testo la sanatoria per i contanti non dichiarati, l’esclusione delle multe dalla rottamazione delle cartelle di Equitalia. E hanno spinto affinché proprio Equitalia conservasse la natura privatistica, pur se sotto totale controllo pubblico. «E’ stato dato qualche consiglio e qualche consiglio è stato accolto, il tutto nello spirito della massima collaborazione istituzionale», fanno sapere seraficamente da palazzo Chigi e dal Colle.

STRATEGIA PER GLI INDECISI
Un atteggiamento, per forza di cose, del tutto diverso da quello scelto da Renzi sul fronte europeo. Qui, per provare a portare dalla sua parte gli elettori indecisi, Renzi gioca la carta della stabilità. Fa balenare il pericolo, come ha fatto Roberto Benigni, che la vittoria del No abbia effetti peggiori di quelli della Brexit. E, come ha detto martedì il presidente americano Barack Obama durante la visita di Stato alla Casa Bianca, faccia precipitare l’Italia in una nuova fase di instabilità che riporterebbe il Paese in recessione. Non a caso Silvio Berlusconi proprio ieri è partito all’attacco, dicendo che «Renzi sta suscitando paura, facendo credere che il No avrebbe effetti devastanti».

L’altra carta giocata dal premier è quella dell’autorevolezza e della credibilità in Europa. Quel dire che in caso di vittoria il 4 dicembre potrà spingere l’Unione a compiere le riforme strutturali, significa far balenare la possibilità di cambiare i connotati di Bruxelles. Con un doppio obiettivo, condiviso da Obama e dalla sua probabile erede Hillary Clinton. Il primo: nuove politiche economiche improntate alla crescita, «perché al pozzo della stagnazione economica si abbeverano i partiti populisti capaci di disintegrare l’Unione». Da qui l’intenzione di ridiscutere a fine 2017 il Fiscal Compact: «Per me quel trattato non ha futuro. Da quando è in vigore, l’Eurozona è l’area che cresce di meno nel mondo. Servono forti investimenti, non rigore contabile», ha detto Renzi a Bratislava il 16 settembre.

ARGINE AI POPULISTI
Il secondo obiettivo: ottenere una nuova politica europea per fronteggiare e regolamentare il dramma dei migranti. L’altra «bomba» a giudizio di Renzi e di Obama, innescata sotto i piedi dell’Unione e utilizzata - al pari della bassa crescita e della conseguente alta disoccupazione - dai partiti xenofobi e populisti per rastrellare consensi. Da qui i toni duri del premier italiano, venerdì a Bruxelles, nonostante qualche passo in avanti fosse stato compiuto: «Ci è stata fatta qualche promessa in più, vediamo a dicembre... Ma di certo la procedura d’infrazione non può essere fatta contro l’Italia, visto che il nostro deficit è il più basso degli ultimi dieci anni, ma contro quei Paesi che non accettano le relocation dei migranti».

Paesi che in Europa sono la stragrande maggioranza. Un dato per tutti: in base all’accordo siglato al Consiglio europeo nella scorsa primavera, l’Italia avrebbe avuto il diritto di redistribuire tra i 26 partner dell’Unione 39.600 migranti con diritto d’asilo. Invece la “relocation” ha riguardato poco meno di mille esuli, soprattutto a causa dei “niet” dei Paesi dell’ex Unione sovietica. «E visto che quei Paesi sono stati salvati anche con i nostri soldi, se non ci saranno doveri uguali per tutti l’Italia non accetterà i meccanismi di bilancio del passato». Quel «dare 20 miliardi» all’Unione e «riceverne appena 12».

La scommessa di Renzi, che a sorpresa a Washington ha trovato il convinto sostegno di Obama («faccio il tifo per lui, spero vinca il Sì») è quello di diventare (parole del presidente americano) «uno dei leader europei più forti». A giocare in questa direzione ci sono alcuni fattori. C’è l’eclissi scontata del presidente francese, François Hollande. Ci sono le elezioni federali tedesche in settembre da cui Angela Merkel potrebbe uscire indebolita. E sono in agenda una serie di eventi, dal summit del 25 marzo a Roma per celebrare i sessant’anni dei trattati fondativi dell’Unione europea, al G7 di Taormina a fine maggio, che potrebbero offrire a Renzi un ruolo di player di primo piano. A condizione che il 4 dicembre vinca il Sì. Naturalmente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA