La favola sciocca dell’accoglienza che non prevede l’integrazione

di Marco Gervasoni
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Sabato 22 Luglio 2017, 00:05
Fino ad oggi i sostenitori dell’accoglienza più o meno spinta dei migranti appartenevano al partito del «buon cuore». Ma ora il sindaco di Milano Sala e il presidente dell’Inps Boeri vogliono convincerci che gli immigrati «servono»: per far correre l’economia e per arricchirci; di più, ci «regalano» addirittura le pensioni! Come ha fatto notare qualche marxista ancora in circolazione si tratta di una classica argomentazione di «destra»: far entrare a frotte gli immigrati per pagarli meno degli autoctoni, quando non impiegarli in nero. Un bel abbassamento dei salari per tutti, migranti e non, alla faccia dell’uguaglianza sociale, che dovrebbe in teoria essere cara a persone di sinistra come Sala e Boeri.

Non a caso il loro argomento è stato rilanciato di recente dall’«Economist», non proprio l’organo dell’Internazionale sindacale: in un mondo senza frontiere, i mercati avranno un impennata, la produttività crescerà, tutti si arricchiranno - certo, alcuni più degli altri. Sono tesi poco convincenti. E non solo per noi, ma anche per Macron, per il governo austriaco e per Orban, che infatti i migranti non li vogliono. E’ poi irritante l’afflato sapienziale con cui esse vengono presentate. Sono le cifre che parlano, ci dicono Boeri e l’«Economist». Ma, come insegna la filosofia della scienza, i numeri non dicono nulla: vanno interpretati.

E alla cifre i sostenitori delle ipotesi contrarie ne contrappongono altre, come ha fatto, su questi giornale del 5 luglio, Oscar Giannino. La convinzione, poi, che gli immigranti non entrerebbero in concorrenza con i lavoratori «nativi» o insediati in un paese da tempo è molto meno evidente di quanto si voglia far credere. Lo statunitense - anch’egli immigrato, da Cuba - George J. Borjas, economista di Harvard, in un libro recente (We wanted workers) spiega infatti che l’immigrazione indiscriminata esercita effetti economici negativi: nel sottrarre quote di mercato del lavoro, nel far crollare i salari, negli impatti disastrosi sul Welfare. Il dibattito scientifico è in corso, per cui tutti dovrebbero avere l’onestà intellettuale di riconoscere che le proprie non sono verità rilevate.

Quanto al progetto utopico «no frontiere», sostenuto da molti militanti, da numerose Ong, dalle fondazioni di Soros, e ora legittimato dai settimanali della finanza internazionale, è stato pesantemente stroncato da un allievo del grande economista liberale Friedrich von Hayek, Hans-Hermann Hoppe: secondo il quale l’immigrazione libera porterebbe alla distruzione della civiltà e richiederebbe l’introduzione di governi dai poteri dittatoriali per contenere le immense fratture sociali generatesi. Ciò che infatti non considerano i sostenitori del partito del cuore e quali del supposto realismo economico è il clash di civiltà che un’immigrazione incontrollata produrrebbe.

Lo sanno però i lettori che abitano nei quartieri periferici delle città, o al Sud, dove sono stipati un gran numero di migranti in una terra afflitta. E lo sappiamo tutti quando veniamo informati degli scoppi di rabbia e di insofferenza dei nostri connazionali: e ci paiono ancora (per fortuna) fin troppo pazienti, come a Ventimiglia o Cona, nel Veneziano, dove la situazione è ben al di là dell’emergenza. Sarebbe tuttavia imprudente, oltre che ingiusto, abusare della pazienza degli italiani. Quello che infatti non capiscono i sostenitori del «partito immigrazionista» è che la parola accoglienza è vuota e persino ipocrita se non seguita da una reale integrazione. Ma a vedere le pattuglie di migranti che vagano senza meta nelle strade, che spesso dormono all’addiaccio in mezzo ai ratti o stipati in condizioni inumani in centri come quelli di Cona, parlare di integrazione è persino grottesco. E la responsabilità è anche un po’ di coloro che fino ad ieri hanno gridato «accogliamoli tutti».

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