Le difficoltà delle élite politiche/ Quel destino comune dei leader travolti dall’onda dei contrari a tutto

di Marco Gervasoni
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Martedì 6 Dicembre 2016, 00:05
Circola in questi giorni una fotografia impietosa. Mostra gli uni accanto agli altri, in posa gioviale, Cameron, Obama, Hollande, Merkel e Renzi. Era fine aprile 2016. In pochi mesi sono tutti caduti, tranne la Cancelliera. Certo Obama e Hollande non sono proprio crollati, termineranno i mandati, ma hanno consegnato ai loro eredi politici una disfatta già certificata (Clinton) o quasi certa (Valls). Mentre sono stati costretti a lasciare le loro poltrone il premier inglese e quello italiano, perdendo due referendum che avevano, in diversa misura, entrambi voluto. Verrebbe voglia di meditare sulla caducità della sorte ma noi, più modestamente, vorremmo solo riflettere sulle forze che hanno decretato la sconfitta dei leader, coincidente, nel caso di Cameron e di Hollande, con la loro definitiva rottamazione. 

IL NEMICO
Il nemico comune è stato il più insidioso, perché multiforme, sfuggente e senza volto. Si potrebbe chiamare populismo, o meglio ancora rivolta contro l’establishment, che tutti loro hanno finito per incarnare. La sollevazione ha preso forme diverse. Quella anti-europea per Cameron, da Downing street ampiamente sottovalutata. Convinto non a torto di aver ben governato, e quindi di vincere facile, Cameron ha scoperchiato un vaso di Pandora, lasciando spazio anche agli avversari interni al suo partito. La prima lezione da trarre è quindi che oggi non basta gestire un paese in crescita (come il Regno Unito), per placare il rigetto verso le élite e l’anelito di ritorno alla nazione. Due sentimenti che hanno impedito a Obama, il cui consenso è ancora altissimo a fine mandato, di trasmettere la sua eredità alla Clinton, simbolo insieme dell’establishment e dell’élite lontana dal paese reale, diversamente da come invece è stato percepito Trump. Come Cameron, pure la Clinton è stata impallinata, oltre che dall’ondata anti-establishment, dai suoi stessi compagni: la contrapposizione con Sanders, alfiere di un populismo progressista, l’ha indebolita, forse fatalmente, in ogni caso l’ha trasformata in icona del vecchio e del dejà vu. Come nell’esempio inglese, non sembra più valere il motto it’s the economy stupid. Gli Usa lasciati da Obama alla Clinton stanno infatti meglio del 2008, e di tanti paesi europei. Più grottesco il problema Hollande. Ferito certo dalle vittorie alle Europee e alle elezioni locali dell’opposizione e del Front national. Ma ucciso politicamente da due cause: il suo immobilismo e l’ostilità del popolo di sinistra, la sola volta che ha tentato di varare una riforma, la Loi travail. Anche qui non sono mancate le pugnalate dei suoi commilitoni di partito, pronti a candidarsi contro di lui, come gli ex ministri Montebourg e Macron. La stilettata finale, quella che lo ha costretto a non ripresentarsi, caso unico per un presidente uscente della Quinta Repubblica, è però venuta da Valls. Probabilmente, a causa del suo modesto bilancio e del lavorio ai fianchi dei due populismi, di destra del Fn e di sinistra di Mélenchon e dei sindacati, anche senza le trappole dei suoi camarade, Hollande non sarebbe comunque andato lontano.

Da ultimo, il nostro ormai ex premier. Che non ha fatto molto per evitare il referendum, convinto di trasformarlo in un facile plebiscito con cui consolidare la propria legittimazione. Quando si è accorto che il cavallo non era così pronto a farsi montare, essendo piuttosto selvaggio e imbizzarrito, era ormai troppo tardi. Cavallo imbizzarrito? Nonostante molti del fronte del No cerchino di convincerci di aver poco a cui spartire con il populismo e la rivolta anti establishment, è indubbio che la pesante sconfitta di Renzi sia stata possibile grazie a quest’onda. In cui c’era un po’ di tutto, anti-austerità, repulsione delle élite, dei poteri forti, la finanza, le banche, più una decisa ostilità verso l’Europa: la difesa della Costituzione vi ha giocato un ruolo molto marginale, anche perché la revisione proposta era davvero modesta. Come la Clinton, pure Renzi ha calato la carta populista nelle ultime fasi ma, come sempre, gli elettori alla copia hanno preferito l’originale. Come Cameron e Obama, inoltre, Renzi non ha governato male: sarebbe ingiusto sostenere il contrario. Certo il paese non è cresciuto con lui come gli Usa e il Regno Unito, ma era impossibile e forse è stato un errore di Renzi vendere questa ipotesi come fattibile. Diversamente da Cameron, Obama e Hollande, Renzi però non è uscito di scena: e anzi farà di tutto per ritornarvi al centro. Benché la ricetta per evitare di farsi travolgere di nuovo non sia facile da trovare.
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