Il peso del Sud/ I “luoghi che non contano” decideranno le elezioni

di Gianfranco Viesti
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Martedì 9 Gennaio 2018, 01:12
Nella generale convinzione che le prossime elezioni non produrranno un risultato netto, si nascondono però ancora profondi interrogativi. Come si orienterà il voto degli incerti? Quanti italiani diserteranno le urne? Tali interrogativi sembrano ancora più forti nel Mezzogiorno. E gli orientamenti degli elettori del Sud potrebbero essere decisivi per l’esito finale.
L’incertezza non scaturisce solo dal fatto che al Sud non è consolidato un sensibile vantaggio di uno degli schieramenti, come il centrodestra nel Lombardo-Veneto, o il centrosinistra nelle regioni rosse. Ma deriva soprattutto dal forte disagio sociale, e quindi politico, che permea l’area. Nonostante una moderata ripresa nell’ultimo biennio l’area della difficoltà al Sud resta estremamente ampia, molto maggiore che nel resto del Paese. 

La crisi è stata più forte che nel Centro-Nord, e la ripresa ha sinora coinvolto solo una parte minoritaria, sia in termini territoriali (più la Campania che la Sicilia), sia in termini sociali. A mostrarlo bastano alcune semplici ma illuminanti elaborazioni che l’economista Fedele De Novellis ha realizzato sui dati Istat. Nel 2007 c’erano nel Mezzogiorno circa sei milioni e mezzo di occupati; e due milioni e mezzo di disoccupati (intendendo questo termine in senso ampio, includendo quanti non cercano attivamente lavoro ma sono disponibili all’impiego). 
Dieci anni dopo gli occupati sono scesi a circa 6 milioni; i disoccupati cresciuti fino a tre milioni e mezzo. In questi anni, poi, il Mezzogiorno è stato del tutto marginale nella discussione, e nell’azione, politica. 
Si è parlato un po’, in termini spesso rituali, degli interventi straordinari con i fondi europei; ma l’intervento pubblico ordinario non ha neanche contrastato la crisi: la pressione fiscale è aumentata di più, in sede locale, e l’intervento pubblico si è significativamente ridotto in molte aree decisive, dalla sanità all’università, al finanziamento degli enti locali. Disagio sociale e sotto-rappresentazione politica: una miscela potenzialmente esplosiva.

Il Mezzogiorno sembra dunque assomigliare a quelli che l’economista della London School of Economics Andres Rodriguez Pose ha definito in un brillante saggio «i luoghi che non contano». «In questi luoghi, in diversi Paesi del mondo - ci racconta lo studioso - sono però maturati fenomeni di “vendetta elettorale». Il disagio ha trovato un collettore nelle urne. 
Così gli stati del Midwest americano hanno votato per Trump, le regioni in declino dell’Inghilterra settentrionale per la Brexit, e le aree rurali dell’ex Germania Est per l’estrema destra di Alternative fur Deutschland; e l’elenco potrebbe continuare. Sono le appartenenze territoriali, più che le classi sociali o i tradizionali schieramenti politici ad aver contato. Voti accomunati dall’essere “contro” qualcosa o qualcuno: la globalizzazione, l’Europa, gli immigrati. E che hanno pesato moltissimo. 
Può accadere lo stesso fenomeno al Sud? Difficile dire. Sembra mancare a casa nostra, almeno sinora, il possibile beneficiario. I sondaggi ci dicono che il Movimento Cinque Stelle riesce solo in parte ad intercettare questo fenomeno; forse ancor meno il centrodestra, all’interno del quale la presenza della Lega, tradizionale e tenace avversaria del Mezzogiorno, non giova. Questo potrebbe determinare alla fine, come recentemente in Sicilia, un altissimo astensionismo; e una ripartizione dei seggi relativamente equilibrata. Una protesta che non trova un collettore ma si rifugia nell’assenza dai seggi; e, in diversi casi, nell’abbandono dei luoghi. Ma, vediamo: in due mesi può succedere di tutto.

Certo che, anche se non si dovesse produrre alcuna particolare vendetta elettorale in questa tornata, il problema è lì per restare. E andrebbe affrontato. Possibilmente non per cavalcare la protesta ma per ridurne le cause. Con questi ritmi dell’economia, e con il passar del tempo, molti elementi del disagio sociale possono aggravarsi; difficile che possano sciogliersi a breve. Sul fronte della politica, assai poco sembra muoversi. La maggioranza delle nostre classe dirigenti dà il Mezzogiorno per perso; i suoi problemi sono ritenuti insanabili. E dunque esse si esercitano spesso in proposte squillanti ma, al fondo, vacue. 
Selezionano classi dirigenti locali in quanto portatrici di pacchetti di voti; sul piano personale, al di là della loro cultura politica o capacità amministrativa. E non pochi, fra i più in vista nelle classi dirigenti locali, si esercitano a loro volta nel cavalcare proteste locali più che nel governare, nel soffiare sul fuoco per propria visibilità. Molti sostengono e praticano misure compensative, particolaristiche. Tutte orientate al breve termine. 

Si tratta di una situazione pericolosa: la vendetta, prima o poi, può arrivare; sorprendente, inattesa. Difficilmente accettabile non solo sul piano etico e dei principi costituzionali, ma anche su quello economico: senza rimettere al lavoro quei tre milioni e mezzo di meridionali è difficile che la domanda interna possa crescere spingendo la nostra produzione oltre i ritmi modesti su cui si sta assestando. La strada è solo una, assai impervia: provare a non considerare più, almeno un po’, il Mezzogiorno come un luogo che non conta. E a discutere dei diritti e dei doveri dei suoi cittadini, delle loro vite, delle loro prospettive, delle loro speranze, sul serio. Guardando avanti nel tempo. In teoria una campagna elettorale sarebbe anche il momento adatto, per farlo.
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