Elezioni, il piano: lista del premier. Ma Gentiloni non tradisce Renzi

Elezioni, il piano: lista del premier. Ma Gentiloni non tradisce Renzi
di Marco Conti
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Giovedì 14 Dicembre 2017, 07:54 - Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre, 18:35

«Berlusconi punta sul pareggio? Noi vogliamo vincere!». La risposta di Matteo Renzi non si fa attendere. Silvio Berlusconi, durante la presentazione del libro di Bruno Vespa, rilancia l'idea di Paolo Gentiloni a palazzo Chigi «in caso di stallo». Tre mesi, magari per tornare di nuovo al voto in autunno, è il ragionamento del Cavaliere, ma come è noto - e sa bene l'uomo di Arcore- in Italia ciò che è precario rischia di durare. Anche perchè un governo, seppur spinto dall'urgenza dello stallo elettorale, avrebbe comunque bisogno di incassare un voto di fiducia visto che, Costituzione alla mano, Gentiloni e i suoi ministri dovranno dimettersi all'atto dell'insediamento del Parlamento.
LE TENSIONI
Potrebbe esserci qualche difficoltà nel riconfermare in blocco un esecutivo-Gentiloni magari composto da esponenti o bocciati dalle urne o che avevano deciso di cambiar vita, ma tirarlo giù non sarebbe facile. Anche perchè in questo caso potrebbe valere la massima che ironicamente pronunciò l'ex presidente del Senato Franco Marini quando si portò a quattro anni sei mesi e un giorno il tempo minimo riservato ai parlamentari per maturare i vitalizi: «La più importante riforma costituzionale sinora fatta». Non a caso ha mangiato la foglia Giancarlo Giorgetti che a nome della Lega replica a Berlusconi - che nel frattempo aveva cercato di precisare il senso delle sue parole - un lapidario «mai con Gentiloni» che è solo un piccolo antipasto di ciò che accadrà nel centrodestra dopo il voto. Tensioni fortissime che non si chetano anche ora che la data del voto, il 4 marzo, è certa. Come è anche ovvio che ci sarà l'election day in tre regioni (Lombardia, Lazio e Molise), e che la Lega sfila Pirozzi, sindaco di Amatrice, dal Lazio per candidarlo al Senato in cambio del via libera a Massimiliano Fedriga come candidato di tutto il centrodestra alle regionali del Friuli che si terranno il 6 maggio.

Di governi precari o balneari ne è piena la storia della Repubblica Italiana. A cominciare dall'ultimo e ben noto a Berlusconi: l'esecutivo di Lamberto Dini che nacque a gennaio del 95 e durò un anno e quattro mesi.
Resta il fatto che la sortita del Cavaliere in favore di Gentiloni viene incontro alle tante voci che si rincorrono e agli endorsement trasversali che l'attuale presidente del Consiglio sta ricevendo. Molti apprezzamenti sono dovuti alla capacità di Gentiloni di farsi concavo e convesso, e altri in funzione anti-Renzi. Eppure nello strano destino di Gentiloni - da sconfitto alle primarie 2013 del Pd per sindaco di Roma, e poi candidato alla Camera in quota Rottamatore, e poi ancora ministro degli Esteri nel governo Renzi e poi premier indicato dallo stesso Renzi - sono da escludere mosse non concordate con l'attuale segretario del Pd. Tantomeno l'idea di liste con suo nome -come vorrebbero alcuni centristi ed ex di Pisapia - al quale il premier non pensa proprio. D'altronde «Matteo sembra aver compreso che serve mostrare un partito plurale», come osserva soddisfatto Francesco Boccia. Pd a più punte che il segretario del Pd avrebbe voluto mostrare per la prima volta sabato a Reggio Emilia nella festa del Tricolore rinviata causa maltempo.

Preservare il governo Gentiloni dal rischio di pericolosi voti di fiducia - come quello che si immaginava di mettere sullo Ius soli - ha lo scopo di lasciare all'Italia un governo nel pieno delle sue funzioni, e non sfiduciato, almeno sino all'insediamento del nuovo Parlamento, quando comunque dovrà dimettersi.

LA SCELTA
La preoccupazione del Quirinale, che per Berlusconi si trasforma in un quasi auspicio, deriva dalle difficoltà che potrebbero esserci dopo il voto per la formazione del nuovo governo. Nel 2013 per comporre l'esecutivo di Enrico Letta servirono 127 giorni e, sondaggi alla mano, stavolta potrebbe andare peggio. D'altra parte il Quirinale è a corto di figure di garanzia da spendere dopo il voto per un eventuale governo del Presidente, vista anche la scelta dei presidenti delle Camere, e soprattutto di Pietro Grasso, di schierarsi anzitempo magari anche con tanto di lista con nome nel simbolo. L'irritazione del Quirinale per la decisione maturata dalla seconda carica dello Stato non nasconde la preoccupazione per i toni della campagna elettorale e per il dopo-voto. Argomento che Sergio Mattarella, sciolte le Camere qualche giorno prima, potrebbe affrontare nel suo discorso di fine anno.
 

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