La scienza politica statunitense aveva anni fa scoperto la figura dell’«elettore razionale». Che però oggi è ormai una specie in via di estinzione, come dimostrano quasi tutte le elezioni recenti, e non solo da noi. Dove alcune forze politiche sono votate dai cittadini per reazione, per protesta, anche per sberleffo, spesso andando contro i più evidenti propri interessi, persino materiali. A prevalere è più che mai l’elettore emozionale. Ecco spiegato il carattere quasi lisergico dei programmi delle forze politiche, tutti «alza debito», come ha scritto ieri questo giornale, perciò nessuno realizzabile. Poiché sanno che difficilmente potranno governare da soli, i capi partito usano le promesse per coprire quel vuoto emozionale richiesto dagli elettori, che altrimenti non riuscirebbero a soddisfare. Servono ulteriori argomenti contro l’emozionalismo politico? Vediamoli. 1) La politica sana è, aristotelicamente, il «giusto mezzo». L’emozionalismo spinge invece sempre agli estremi. 2) L’emozionalismo politico riscalda sempre più il corpo sociale: che invece ha bisogno di essere raffreddato; anche rassicurato, se si vuole. 3) L’emozionalismo è sempre apocalittico: gioca sulla paura, addita la fine del mondo dietro l’angolo. Ma poiché la catastrofe per fortuna non si verifica (quasi) mai, chi profetizza sfracelli finisce per perdere di credibilità. 4) L’emozionalismo, che in teoria dovrebbe avvicinare i cittadini alla politica, finisce per allontanarli: da qui la fuga dalle urne prevista da tutti i sondaggi. Non si può tornare indietro, e pretendere i politici razionali alla De Gasperi, Moro, Andreotti, Craxi, La Malfa (anche se poi tutti li rimpiangono). Possiamo però auspicare che la politica sia un po’ meno slabbrata e viscerale. In fondo il suo compito è solo quello di riparare ciò che la società danneggia: le emozioni, invece, è più sano andare a cercarle altrove.
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