È un vero Aventino? - di M. Ajello

di Mario Ajello
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Mercoledì 14 Dicembre 2016, 08:05
L'Aventino il più delle volte si proclama con l'intenzione di non rispettarlo e, se miracolosamente lo si attua, non si vede l'ora di interromperlo. Così sembra anche l'Aventino dei Cinque stelle. Che ieri si sono attirati addosso nell'assenza dall'aula tanti riflettori, ma loro - che sul web leggono sfottò di questo tipo: «Prima volevano dimettersi, poi volevano fare l'Aventino, poi le proteste in 100 piazze e alla fine faranno un flashmob» - non paiono convintissimi della strategia adottata. Anzi, adottata a metà o per meno di un quarto. E' immaginabile la sdegnosa ascesa sull'Aventino della propria coscienza, in polemica con il Renzicloni (così chiamano il governo fotocopia di Gentiloni), che vada avanti dura e pura fino alle prossime elezioni che i grillini vorrebbero subito? No che non è immaginabile, e allora c'è da chiedersi se di un vero Aventino si tratta oppure di un Aventinicchio. La risposta giusta è la numero due. L'aula ieri disertata, spettrale e surreale, in cui Gentiloni si lamenta invano ma con buone ragioni («La politica è confronto»), è una versione minimal e assai meno drammatica, e il paragone dovrebbe far impallidire chi pratica l'Aventinicchio, di quella del 1924. Ed è un remake assai meno scenografico, e che non passerà alla storia, della secessione dei rappresentanti della plebe nell'Antica Roma. Che per protesta si riunirono, appunto, sul colle dell'Aventino.

I PALADINI DELLA CARTA
E' curioso che perfino i verdiniani di Ala, partito parlamentare per eccellenza, irrintracciabile nel cosiddetto Paese reale, adottino la strategia aventiniana del non esserci nell'unico luogo in cui ci sono. E comunque non bisogna lasciarsi troppo impressionare dall'ultima trovata di questo spicchio di opposizione alla Grillo, alla Salvini e alla Denis, perché di Aventini, ma sempre Aventinicchi, la recente cronaca politica italiana è strapiena. Però colpisce il fatto che i paladini della Costituzione e della costituzionalità, coloro che si sono battuti nel referendum del 4 maggio per difendere la centralità del Parlamento ora sono passati a considerare le Camere un luogo inutile. Ondeggiando tra Aventino e piazza e minacciando di condurre in quei luoghi, e non nei luoghi deputati, la battaglia contro un governo considerato nemico. Non sarebbe preferibile sedersi al tavolo della legge elettorale insieme agli altri, per stabilire delle regole da cui dipenderà anche il futuro del Movimento e la sua possibilità di governare, nel caso, in un sistema che lo consente?

Poi si vedrà. Per ora l'Aventinicchio ha riempito la scena svuotandola. E producendo un effetto straniante. L'Aventino si fa contro un governo forte e che vuole durare in eterno, e farlo contro un esecutivo d'emergenza e che per sua stessa convinzione vuole durare poco, e contro un ex premier che ha scelto di andare via senza neppure essere stato sfiduciato dal Parlamento, appare un non senso. Tanto è vero che non solo Forza Italia ma anche i Fratelli d'Italia hanno scelto di non accodarsi alla strategia grillante. Magari anche perché i berluscones, ogni volta che hanno tentato l'Aventino contro i governi di centrosinistra, sono incorsi in un mezzo flop. Condito da sarcasmi. «Guardatelo, si sente Antonio Gramsci», ironizzarono alcuni del Pd nei confronti di Brunetta che in polemica contro l'approvazione dell'Italicum guidò le truppe azzurre fuori dall'aula di Montecitorio. Anche se in verità Gramsci - criticissimo nei confronti degli aventiniani del 24 - partecipò soltanto a una prima riunione di quel gruppo e stupì e irritò i moderatoni liberali e amendoliani (Amendola padre), perorando la causa di un imminente «governo rivoluzionario degli operai e dei contadini». Quando invece accadde che a rafforzarsi, fino a diventare regime, fu il governo di Mussolini.

L'OSSESSIONE
Il fatto è che l'Aventino, o meglio l'Aventinicchio, è di solito una tentazione che nasce da un'ossessione, dall'idea che c'è sempre un complotto anti-democratico dietro la politica degli avversari. E basta ricordare che cosa ha scritto pochi giorni prima del referendum un ex onorevole M5S, Bartolomeo Pepe: «State lontano dalle camionette! Che la settimana prima di un referendum importante, in cui il governo andrà sotto, può accadere che il destino delle genti italiche possa essere indirizzato da una #bomba o da una #bombetta». E comunque, è una tentazione bipartisan lo pseudo-Aventino ma logora sempre - e in questo somiglia all'originale - chi lo pratica. «Chi se ne va ha torto!», gridò Gianfranco Fini, da vicepremier, quando i partiti di centrosinistra abbandonarono l'emiciclo in occasione della Finanziaria berlusconiana del 2004. E il Polo delle libertà si autosospese aventinianamente nel voto della Finanziaria prodiana del 97. «Però abbiamo lasciato in aula i nostri relatori», si scusò Berlusconi. Contro il quale, quando tutti accusavano «il regime del Caimano», la sinistra a un certo punto accoppiò Aventino e girotondo, protesta di Palazzo e protesta di piazza. Un po' come vorrebbero fare adesso i grillini. E se la manifestazione di piazza è una protesta per eccesso - ma riempire una piazza ormai è arduo anche per i Cinque stelle - l'Aventino è una protesta per difetto: tutti fuori. Una è l'esaltazione della rabbia. L'altro è il pessimismo apocalittico della volontà e la vigile inerzia contro (e il governo Gentiloni non lo è) un potere forte. Entrambi, nel caso dei 5 stelle, servono per attirarsi gli applausi del mondo web - e già questa è una dequalificazione dell'istituto parlamentare - ma possono danneggiare per eccesso d'ansia e di propaganda, invece di aiutare, un'eventuale vittoria alle elezioni.