I diritti delle coppie/ L’equivoco degli steccati in una scelta solo laica

di Alessandro Campi
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Giovedì 11 Febbraio 2016, 00:06
Tattica e strumentale è parsa la scelta di Grillo di lasciare ai propri parlamentari libertà di voto sul ddl Cirinnà in materia di unioni civili. Tattica e strumentale si può considerare anche la decisione presa da Renzi di non forzare, per disciplina di partito, quei senatori del Pd – in prevalenza d’area cattolico-democratica – che non se la sentono di votare quelle parti della legge che, se approvate, consentirebbero l’adozione del figlio naturale del partner anche per le coppie omosessuali. Grillo, sfilandosi da un accordo col Pd sulle unioni civili sbandierato sino al giorno prima, si è dato come obiettivo di mettere in difficoltà il governo giocando sulle divisioni esistenti in seno alla maggioranza che lo sostiene. Renzi, distinguendo tra unioni civili (da votare compattamente)e adozioni (da votare o meno secondo la propria coscienza), nonché criticando apertamente la pratica dell’utero in affitto, si è posto invece il problema di come sfuggire le insidie che potrebbero venirgli dai centristi di Alfano e dai cattolici del suo partito attraverso il voto segreto. E dunque ha giocato d’anticipo nella convinzione che l’eventuale approvazione delle unioni civili senza la norma sulle adozioni sarebbe comunque una sua vittoria politica e d’immagine (oltre a tenere unita l’alleanza di governo). Ma non si tratta solo di manovre all’interno delle aule parlamentari.

La giravolta dei grillini è stata influenzata anche da quei sondaggi che mostrano quanto socialmente e culturalmente variegato sia il loro elettorato. Per il M5S votano molti berlusconiani delusi e molti arrabbiati di destra, che si presume non vedano di buon occhio questa legge. Lo stesso ragionamento vale per la linea più prudente adottata da Renzi: se vuole sfondare elettoralmente al centro o comunque andare oltre lo storico elettorato della sinistra non può trascurare i timori di quella parte rilevante di opinione pubblica (in senso lato definibile come moderata) che dietro la “stepchild adoption” vede il grimaldello legale che apre le porte alla maternità surrogata. In effetti, questo progetto di legge ha profondamente diviso i cittadini italiani, come peraltro è successo già negli altri Paesi europei quando si è trattato di mettere mano ad una normativa in materia di unioni o matrimoni omosessuali. Il fatto che i partiti cerchino di tenere conto degli umori e sentimenti collettivi, che non sempre si colgono affidandosi ai sondaggi, non rappresenta nulla di strano, anche se può sembrare che lo facciano solo per ragioni di convenienza elettorale.

 

In realtà, c’è anche l’esigenza, dal lato della politica, di trovare un giusto equilibrio tra i diversi orientamenti ideali che attraversano la società, senza pensare che ci sia una parte che incarna il progresso e un’altra che si culla nel proprio oscurantismo. Se una cosa ci insegna il dibattito di queste settimane infatti è che, al di là delle semplificazioni mediatiche e del gusto tutto italiano per le contrapposizioni di tipo ideologico, i dubbi e le riserve si sono manifestate, a ben vedere, in modo trasversale e niente affatto scontato. La contrapposizione netta tra laici e cattolici, sulla quale si è molto insistito per indicare i due schieramenti in lotta, in realtà rappresenta una forzatura, quasi che su una materia come quella delle unioni civili (con tutte le sue possibili implicazioni, sino ad arrivare dunque alla questione delicatissima della maternità surrogata) si possa decidere a partire dalla propria appartenenza religiosa (o, per converso, a partire dal fatto di non averne alcuna). Se ci sono laici per i quali contano solo i diritti individuali e le preferenze soggettive, che considerano il matrimonio una convenzione culturale e la genitorialità una dimensione affettiva sganciata da qualunque radice biologica, e che e ritengono altresì una battaglia antistorica opporsi legalmente a quel che il progresso tecnico rende oggi possibile in materia di fecondazione e maternità, ci sono laici che invece sono molto dubbiosi e critici su tutti questi punti.

Ad esempio sull’idea che tutto quel che è tecnicamente alla nostra portata sia al tempo stesso socialmente accettabile e addirittura auspicabile come fattore di progresso etico. Non bisogna aderire ad una visione confessionale della vita per porsi il problema dei limiti che anche le applicazioni scientifiche debbono incontrare, per pensare che la natura umana possieda un suo fondamento oggettivo e materiale che non è possibile violare a piacere o per ritenere, infine, che il matrimonio forse è qualcosa di diverso dal desiderio di felicità di due individui, bensì la struttura giuridico-istituzionale formata da un uomo e una donna intorno alla quale da millenni si organizzano tutte le società del mondo. Al tempo stesso ci sono molti cattolici, a partire da alcuni tra gli esponenti più in vista delle gerarchie vaticane, che in queste settimane hanno sostenuto la necessità, considerato come sono cambiati i costumi anche in Italia, di una legge che regolarizzi le unioni omosessuali e che ponga fine alle discriminazioni che esse oggi ancora incontrano. La gran parte dei cattolici sa bene che non stiamo parlando di questioni di fede, ma di come organizzare la convivenza all’interna di una società pluralista sul piano dei valori e dei comportamenti.

Fanno bene a pretendere che non siano le minoranze a dettare le regole di comportamento alla maggioranza, a mettere in guardia contro il tecno-nichilismo e i rischi di mercificazione del corpo delle donne (prospettive sulle quali parecchie femministe si sono a loro volta pronunciate criticamente), ma sanno bene che non ci sono su questi temi crociate da combattere, che peraltro sarebbero perdenti coma il passato insegna.
Insomma, se divisioni ci sono state e ci sono esse rimandano ai tormenti e ai dubbi che inevitabilmente attraversano la coscienza di ognuno. Il che dovrebbe spingere, come purtroppo sinora non è successo, verso un sano pragmatismo che azzeri gli estremismi verbali e ideologici. Giunti ormai al momento del voto ciò significa auspicare una legge figlia del compromesso, secondo lo spirito migliore del parlamentarismo, che per definizione implica la mediazione, virtuosa e razionale, tra le diverse posizione politiche e sensibilità culturali. È la strada che si sta per imboccare dopo tante incomprensioni e polemiche?
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