Dell'Utri latitante, per i giudici è stato mediatore tra il Cavaliere e Cosa nostra

Dell'Utri latitante, per i giudici è stato mediatore tra il Cavaliere e Cosa nostra
di B.L.
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Sabato 12 Aprile 2014, 09:56 - Ultimo aggiornamento: 09:57
​La fuga all’estero con un passaggio in Libano, prima della sentenza della Cassazione che potrebbe confermare la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è la conferma della «vita spericolata» dell'ex senatore, definito dalla corte d'appello di Palermo il «mediatore contrattuale» del patto di protezione tra Berlusconi da una parte e Cosa nostra dall'altra.



QUATTRO PROCESSI

Nelle 477 pagine che raccolgono, per la quarta volta (il processo è tornato in appello dopo il rinvio della Cassazione per il periodo tra il 1974 e il 1992), quel ventennio turbolento, la corte ha ribadito i «comportamenti tutt'altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale dell'imputato, che ha ritenuto di agire in sinergia con l'associazione criminale». In quel periodo, Dell'Utri, «ha, con pervicacia, ritenuto di agire - ha proseguito la corte nelle motivazioni della seconda sentenza d'appello - in sinergia con l'associazione, e di rivolgersi a coloro che incarnavano l'anti-Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell'imprenditore milanese e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell'associazione». La genesi del patto che ha legato Berlusconi alla mafia con la mediazione di Dell'Utri, durato secondo i giudici almeno 18 anni, è l'incontro avvenuto a maggio 1974, a Milano, cui erano presenti anche i mafiosi Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi.



«In virtù di tale accordo - ha scritto la Corte - i contraenti e il mediatore contrattuale hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale all'imprenditore tramite l'esborso di somme di denaro che quest'ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Dell'Utri, che ha consentito che l'associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere». Così Berlusconi è «rientrato sotto l'ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore». Del resto, l'ex premier «ha sempre accordato - ha aggiunto il collegio - una personale preferenza al pagamento di somme come metodo di risoluzione preventiva dei problemi posti dalla criminalità». Somme arrivate puntualmente a Cosa nostra con pagamenti semestrali anche tra il 1978 e il 1982. Nemmeno il mutamento dei vertici di Cosa nostra «aveva modificato - hanno proseguito i giudici - in alcun modo l'impegno finanziario del gruppo Berlusconi nei confronti dell'organizzazione criminale». I milioni (prima 50 e poi 100 ogni sei mesi, secondo i pentiti) arrivavano nelle mani di Totò Riina attraverso Cinà. Per la corte, i pagamenti sarebbero proseguiti «quantomeno fino al 1992».
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