De Mauro, l'infanzia delle parole

De Mauro, l'infanzia delle parole
di Renato Minore
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Giovedì 5 Gennaio 2017, 20:31
Tullio De Mauro confessava di non aver registrato nel suo dizionario dell’Utet l’uso (sia pure obsoleto) della parola “cromatina”. Che non è solo nell’accezione biologica “la sostanza delle cellule che si colora facilmente”. Ma è anche quella scatoletta di lucido, con una chiavettina che la apriva, usata nella sua casa napoletana negli anni Trenta, per rendere lucenti le scarpe. Anche la parola “ciaccata” (che in napoletano sta a significare un forte colpo di pietra inferto al capo, come lui ben sapeva anche per infantile esperienza) non era stata da lui lemmizzata.

Lo studioso della lingua “il famoso linguista” autore di quel dizionario in sette volumi nonché di studi tradotti in molte lingue e della prima ricerca sulla storia della lingua italiana dopo l’Unità, lasciava il campo al memorialista familiare nel suo libro di natura narrativa “Parole di giorni lontani” che è un delizioso ritratto d’infanzia, della sua e delle parole che in essa prendevano smalto e significato. A piccoli frammenti, come zoom della memoria (una memoria rivestita di parole) che procedeva liberamente pescando nella grande vasca di luoghi, persone, fatti e aneddoti di oltre sessant’anni prima, il suo lessico familiare era infatti tutto concentrato sulle scoperte linguistiche in età infantile. Tutto un minuscolo universo intriso di parole dentro l’orizzonte sociale di una famiglia borghese degli anni trenta, con il padre farmacista per tradizione familiare, la madre matematica che citava Dante in ogni occasione, la tribù dei fratelli, degli zii, dei vicini di casa, dei professori.

De Mauro ricordava scacchi e successi dei primi anni di vita, “vittorie sulla lunga strada dell’apprendimento e della comprensione”. Capire le parole non è un rettilineo uguale per tutti, è una strada tortuosa piena di false deviazioni e cotangenti, e non tutti sanno procedere al punto giusto, scriveva De Mauro, amorevole e vigile nei confronti di questo suo amarcord non solo linguistico. Che sostava piacevolmente anche sulla lingua della strada, sulle prime letture in famiglia, le prime intuizione sulle cadenze, sulle pronunzie, nate con l’ascolto della parlata “alla De Mita” del padre, sul dialetto che “mareggiava” da ogni lato e in certi casi penetrava a forza nella lingua famigliare.


 
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