L'analisi/Dall’Europa all’Italia, i populismi frenano perché privi di prospettiva

di Biagio de Giovanni
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Mercoledì 14 Giugno 2017, 00:05
Come spesso avviene da noi in Italia, i temi elettorali, riforme o risultati o referendum che siano, sono analizzati con lo sguardo rivolto tutto dentro il proprio recinto nazionale, mentre, a costo di sbagliar previsione, bisogna provare a spingere lo sguardo oltre di esso per connessioni ormai inevitabili tra le cose che accadono nel mondo, in Europa e da noi in Italia. Ora a me pare che il punto di partenza dell’analisi dei risultati elettorali della scorsa domenica sia il seguente: sta cambiando la fase politica in Europa (limitiamoci a essa) con la medesima accelerazione con la quale si era avviata, anche se la situazione resta labile e non fornisce nemmeno all’analisi che sto per proporre nessuna garanzia di stabilità.

Tutto può di nuovo rovesciarsi, ma proviamo a mettere qualche punto fermo. Regredisce la fase populista, culminata con Brexit e Trump, e, per restare in Europa, il risultato delle elezioni nel Regno Unito ne sono palmare conferma: sembra rafforzarsi il fronte per una Brexit più addolcita, l’elettorato non risponde all’appello della May a darle ogni potere sulla gestione delle trattative da lei preannunciate come di una assoluta durezza. Risposta negativa a questo appello, perfino con il rafforzamento di un Corbyn da tutti finora giudicato cavallo fuori corsa che contribuisce alla riemersione di temi dimenticati. E poi la vittoria oltre ogni previsione di Macron in Francia, tassello decisivo dell’analisi.

Marine Le Pen, lo spauracchio di qualche mese fa, è ai margini, Melanchon collocato nei suoi limiti, e i vecchi socialisti in archivio, almeno per ora. Voglio esser chiaro prima di giungere in Italia: anche quelli ricordati possono essere risultati labili perché i problemi sono tutti sul tappeto, ma che cosa indica lo smorzamento delle punte più affilate sui vari temi? Indicano un cambiamento della fase politica; si va facendo strada, forse, il timore di non spingere troppo avanti le cose, ritrovandosi poi in un luogo carico solo di slogan e di grida e di odio, di ascoltare meno di prima le sirene che giungono dai linguaggi della violenza e dell’avventura. I quali peraltro, come mi è capitato più volte di dire, hanno dalla loro parte anche temi assai più seri del lessico con il quale vengono espressi. Insomma, per dirla in sintesi, si sta forse assistendo a una certa normalizzazione dell’opinione pubblica, più per la paura sottile di una situazione che vada fuori da ogni controllo che per un ritornante agnosticismo.


Giungendo in Italia, l’innegabile sconfitta dei Cinque Stelle (che parlano anche loro in politichese se proclamano di aver vinto!) sembra dovuta assai più all’astensionismo di suoi vecchi elettori che allo spostamento di voti pentastellati verso altre forze; qualcosa va verso il centro-destra, ma non gran che, come testimonia la ricerca dell’Istituto Cattaneo. Il rilievo è molto significativo, ad indicare pure la labilità delle cose e lo stato di attesa. Non corrisponde affatto alla realtà (una fake news) che il Movimento di Grillo non sia attrezzato per il voto locale, quando esso non solo vinse a Roma e a Torino, circa due anni fa, ma entrò anche in ballottaggio in molti comuni dove allora si votò. E dunque? Oggi perché la caduta verticale? io dico: sia perchè un’opinione più normalizzata riesce forse a vedere il disastro di Roma e l’inadeguatezza di Torino, cose che in altre congiunture sarebbero restate invisibili; sia, soprattutto, perché il senso di paura che si va diffondendo chiede protezioni più consolidate, non grida ma governo, non insulti ma reciproci riconoscimenti, non sdegni “manettari” a senso unico, ma più riflessive distinzioni, in una situazione di lieve ma sigificativa ripresa economica. Il malcontento resta intatto, ma più nascosto sotto una coltre di paura più ragionata, che chiede, forse, meno strappi e più progressione nelle cose. Lontano da me l’idea che il Movimento sia in una crisi irreversibile, che cosa c’è oggi di irreversibile? Grillo ha ancora molte frecce al suo arco ed esso resta il principale nemico di una democrazia liberale. Ma oggi è possibile porre un freno al dilagare di una egemonia che rimane il vero pericolo abissale per l’Italia. 


Come rinsaldare questo freno? Si dice: le coalizioni, e si cita la clamorosa conferma di questi giorni, perde chi gioca in solitudine. Qui elevo altri dubbi. Le elezioni politiche non hanno affatto il carattere di quelle amministrative, dove le liste civiche le più diverse e improvvisate (spesso puri raccoglitori di voti) fanno coalizione su un nome. Vi immaginate la stessa cosa trasposta a livello dei partiti e della politica generale? Immaginate quali ircocervi nascerebbero? Vi immaginate D’Alema, Renzi, Bersani e Fratojanni sotto lo scudo magari di Pisapia, tutti a far coalizione? Un invito a nozze per i Cinque Stelle e credo un disastro per l’Italia. E insieme, sul lato opposto, Salvini Meloni Berlusconi, e ciò significa Le Pen e il Partito popolare europeo tutti uniti, sotto la stessa bandiera? Ma dove avvengono cose simili? Vi immaginate la ragionata paura che si diffonderebbe in Europa? E dunque? L’intuizione dell’Italicum, con il premio alla lista, era, nel suo principio, giusta, ma purtoppo fu sotterrato dopo il 4 dicembre sotto i colpi del conservatorismo italiano raccolto in unico afflato. Ora c’è il tempo necessario, si combatta a viso aperto e con argomenti seri una battaglia chiara, argomentata, ogni partito con il proprio programma e una necessaria correzione in senso maggioritario della legge elettorale, con premio alla lista.

Ha osservato Giuliano Amato sul Corriere della sera di ieri che la Corte non ha affatto sanzionato l’obbligo del criterio proporzionale, e ci sarebbe mancato altro! La sovranità politica resta del Parlamento che deve però saperla usare, e, facendo tesoro delle osservazioni della Corte, esso può provare a giungere a un sistema maggoritario corretto, non cadendo nel precipizio in cui si stava affondando con il fasullo metodo “tedesco”. E’ interesse dell’Italia che ciò avvenga per provare a mantenere il passo con le altre nazioni europee e soprattutto con la Francia e la Germania che riavviano un loro percorso.
La responsabilità principale ricade sul Pd e sulla sua nuova classe dirigente. Partito di governo, e il problema è vedere se riuscirà a far svegliare il Parlamento dal suo sonno dogmatico. Il sonno della ragione genera mostri, ma siamo ancora in tempo perché la ragione si svegli e provi a dare una prospettiva a questa Italia, e a non abbandonarla come nave senza nocchiero in gran tempesta. 
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