Fuga a destra, strappo nel governo: si dimette il ministro Costa. Renzi: si vota nel 2018, non cambia niente

Fuga a destra, strappo nel governo: si dimette il ministro Costa. Renzi: si vota nel 2018, non cambia niente
di Stefania Piras
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Giovedì 20 Luglio 2017, 08:29
ROMA Enrico Costa lascia il governo Gentiloni e lo fa, calamitato dal centrodestra di Silvio Berlusconi. «Siccome non voglio creare problemi al governo - ha detto Costa - rinuncio al ruolo e mi tengo il pensiero». «Costa è una persona seria, sono legato a lui da un sentimento di stima, ha fatto bene ad andarsene, è stato coerente, le sue idee non sono le mie idee ma avere un avversario politico che gioca pulito è meglio di quelli che stanno lì con il piede in due staffe cercando di stare attaccati alla poltrona». Tradotto: ci sta che Costa abbia preso il largo.

LE POSIZIONI
Questa la sintesi, che è molto una scrollata di spalle, del segretario Pd Matteo Renzi che da Milano ha commentato le dimissioni dell'ormai ex ministro per gli Affari Regionali, Enrico Costa che potrebbe tornare al centrodestra di Silvio Berlusconi. «Noi difendiamo il governo» dirà poi Renzi per sgomberare il campo dai dubbi che ora l'esecutivo navighi a vista. Alternativa popolare, il partito degli ancora ministri Angelino Alfano e Beatrice Lorenzin, invece usa l'artiglieria pesante ma lo fa da Bologna con Valentina Castaldini, portavoce nazionale di Ap, che va giù dura: «Matteo Renzi bugiardo e ipocrita fino al midollo: prima ha fatto attaccare Costa dai suoi - vedasi Marcucci, Rosato e molti altri - e adesso gli dà la sua finta stima e la sua solidarietà». Battaglia in puro stile proporzionale dove i segretari dei partiti che stanno a palazzo, a Roma, si cannoneggiano con più o meno fairplay. Il premier Paolo Gentiloni che ha assunto la delega di Costa, scansa le polemiche, chiede stabilità e porta in dote i numeri positivi della crescita. «Abbiamo dei numeri tutto sommato incoraggianti dal punto di vista dell'economia italiana, dei numeri della nostra crescita finalmente capaci di agganciare la crescita dell'Eurozona, abbiamo davanti un passaggio cruciale per cogliere delle opportunità e dobbiamo dirci la verità, che quel passaggio cruciale per essere colto ha bisogno della stabilità del quadro istituzionale ed economico che consenta a questi numeri positivi il tempo necessario per tradursi in risultati concreti». Insomma, si va avanti.
Già, ma come? In vista della manovra, Mdp fa capire ancora una volta di volersi smarcare e gli azzurri di Fi potrebbero continuare la campagna acquisti dei transfughi centristi oltreché, va detto, tornare utilissimi in termini di numeri al Senato. Ieri era tutto un fiorire di esercizi di stretching destinati ad allungarsi fino a fine legislatura.

Ma è complicato quando un compagno di viaggio, e ministro, decide di sparigliare le carte e lavorare al dopo. Basta leggere Maurizio Lupi che ieri ha chiarito come Alternativa popolare non sia un alleato di governo ma abbia semplicemente collaborato a una fase emergenziale e che tornerà nel suo alveo naturale di forza alternativa al centrosinistra. In mezzo al guado restano dunque Angelino Alfano, che ha giudicato «inevitabili e tardive» le dimissioni» di Costa, e Lorenzin che si è ritrovata in Senato alle prese con il suo decreto vaccini e ha vissuto in prima persona le fibrillazioni che l'addio di Costa hanno proiettato sul tran tran quotidiano. L'immagine clou è quella del senatore Stefano Esposito che ha pronunciato una frase ambigua o comunque degna di agitare maggioranza ed esecutivo.

DIFFERENZA
Esposito, renziano di ferro, ci ha tenuto a marcare una differenza avvertendo la ministra di Ap che il vento può cambiare e che se «stiamo insieme non c'è e non ci sarà sempre un perché». «Voterò in dissenso dal mio Gruppo» ha detto in Aula Esposito incassando il parere negativo dato dal ministro della Salute Lorenzin a una sua richiesta. È stato un momento di forte disorientamento che ha aumentato l'alto grado di entropia scatenata dalle dimissioni di Costa. La teoria che andava per la maggiore ieri a Palazzo Madama era che fosse partito l'ordine di accelerare una crisi di governo. Allarme poi rientrato quando Renzi ha ribadito: «Non cambia niente, si vota a fine legislatura».