Controllo degli elettori/ Le città unico banco di prova per misurare la politica

di Alessandro Campi
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Sabato 5 Agosto 2017, 00:05
La classe politica italiana vive una crisi di credibilità. Inutile chiedersi se per demerito proprio (avendo mal governato e dato l’impressione di difendere più i propri interessi che quelli della collettività) o come risultato di un clima d’opinione negativo, spesso alimentato in modo irresponsabile e demagogico, che dura da almeno due decenni.
Viene dunque da chiedersi da dove ripartire per restituire alla politica italiana (e alle sue istituzioni) quel minimo di legittimità e pubblica considerazione senza le quali è difficile esercitare sia l’attività di rappresentanza sia un qualunque ruolo di governo. L’unica risposta possibile, stante la condizione nella quale ci troviamo, è quella di affidarsi alla dimensione locale e territoriale. Il che significa guardare con attenzione a ciò che accade nelle città e più in generale sul territorio: dove gli effetti delle decisioni politiche possono essere misurate dai cittadini, direttamente e senza intermediazioni, grazie all’impatto che hanno sulle loro vite.
Non che anche a questo livello manchino i problemi e le contraddizioni. Le cronache documentano spesso, anche in periferia, casi di malcostume, di affarismo o di vera e propria incompetenza. Ma ciò non toglie che la visibilità di cui oggi godono gli amministratori locali, dai migliori ai meno capaci, è di fatto incomparabilmente più grande di quella che viene riconosciuta spesso ad un parlamentare o a un membro del governo.

Persino a livello di cronaca politica oggi è più facile che ci si interessi, come lettori e cittadini, a ciò che accade nell’amministrazione di una grande o media città piuttosto che alle vicende del governo nazionale.
Ci sono ovviamente molte ragioni alla base di questo fenomeno. Il municipalismo, per cominciare, è un fattore che storicamente e culturalmente ha sempre contato molto nella politica italiana: nel nostro Paese la dimensione statual-nazionale è spesso stata considerata come artificiale e lontana rispetto a quella localistica, giudicata più vera e autentica. C’è poi da considerare che i sindaci sono scelti, ormai da un quarto di secolo, con un meccanismo di voto che li rende espressione diretta della volontà dei cittadini. Più in generale, il governo locale è quello che permette, almeno sulla carta, un maggior controllo da parte degli elettori e che consente a questi ultimi di valutare più direttamente la qualità e utilità delle decisioni che vengono prese nel loro nome e nel loro interesse, approvandole o bocciandole. Senza considerare che in molti casi le competenze richieste per guidare una città o una regione non sono certo inferiori a quelle necessarie a guidare una nazione (e lo stesso vale per le responsabilità annesse). Naturalmente questa esposizione può risultare fatale in caso di errori o di inerzia, ma in fin dei conti è la prova a contrario di quanto siano monitorate le giunte d’Italia.

Ma il vero argomento che tende oggi a far considerare la politica locale più vicina rispetto a quella nazionale, che arranca senza produrre decisioni e che appare, oltre che distante e distratta, preda di divisioni e litigi, è probabilmente un altro. Ed ha a che vedere con i discutibili criteri – a partire da quello della fedeltà personale – con i quali da anni ormai i partiti tendono a selezionare il proprio personale a livello parlamentare. Sul territorio, foss’anche per fare il consigliere circoscrizionale, bisogna ancora conquistarsi i voti parlando con le persone e stringendo relazioni personali, facendo propaganda in modo attivo, mettendosi in gioco personalmente: esattamente secondo il modo di fare politica tradizionale. Certo, ci sono eccezioni eloquenti come nel caso delle cooptazioni da parte dei candidati di M5S con dubbie primarie anche nelle città (il caso Roma docet). Ma in generale, troppo spesso per finire in Parlamento, si può anche non muovere un muscolo: basta essere nelle grazie del leader del partito o avere fatto una comparsata televisiva discretamente efficace per essere nominati (invece che eletti) in un ruolo tanto importante. 
La politica svolta a livello territoriale sembra dunque rispondere ad una logica più diretta e trasparente: richiede comunque competenze, ma anche e soprattutto impegno personale. Naturalmente, diventa anche il campo in cui più evidenti appaiono le lacune degli impreparati e le avventure improvvisate. 

Nei casi più virtuosi, però, sembra l’unica dimensione rimasta nella quale si riescono a selezionare figure politiche dotate di un’autonoma personalità e come tali spendibili nell’agone nazionale. Sarà un caso, ma l’unico leader politico emerso negli ultimi anni sulla scena italiana è stato l’ex sindaco di Firenze. Coloro che a sinistra oggi vorrebbero sbarrargli la strada hanno pensato di affidarsi all’ex sindaco di Milano. Per rilanciare il centrodestra alle prossime elezioni politiche Berlusconi ha fatto sapere che intende candidare tutta una serie di giovani amministratori locali del suo partito proprio con l’idea di sfruttare la popolarità e la credibilità di cui godono nei rispettivi territori.
Insomma, se in Italia c’è ancora politica fattuale essa è quella che si pratica sul territorio, a diretto contatto con gli interessi delle persone. Ed è dunque da qui che bisogna ripartire per restituire vitalità, senso e credibilità anche a quella nazionale, prima che il processo di crescente discredito che l’affligge produca qualcosa d’irreparabile per la vita della nostra democrazia.
 
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