Bomba sui conti/La deriva assistenziale del reddito garantito

di Oscar Giannino
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Martedì 21 Febbraio 2017, 00:05
La scissione del Pd rischia di essere un potente acceleratore di una sirena che da qualche tempo suona sempre più potentemente sulla scena politica italiana. Quella dell’assistenzialismo e del deficit libero da ogni vincolo, pur di aggregare consensi alla propria parte politica. La legge elettorale proporzionale aiuta, è un fortissimo incentivo a premere il piede solo sul pedale dell’identità, non della sostenibilità delle proposte. Tanto, non bisogna indicare agli elettori schemi di convergenza per coalizioni candidate a governare. Al governo ci si penserà poi, e spetterà al Quirinale tentare di comporre piattaforme e partiti presentatisi agli elettori come del tutto inconciliabili.
Uno dei terreni su cui lo slittamento assistenziale rischia di essere più forte è già evidente. È il reddito di cittadinanza. Per non lasciare il solo Movimento Cinque Stelle a cavalcare la proposta. Ecco dunque Silvio Berlusconi annunciare che anche Forza Italia pensa a una propria versione del reddito di cittadinanza. E ora, nelle ore travagliate in cui maturano le condizioni della scissione Pd, filtrano indiscrezioni secondo le quali anche Matteo Renzi avrebbe affidato a Tommaso Nannicini, l’economista di palazzo Chigi passato a coordinare il programma del partito, una svolta radicale per il sostegno al reddito. Persino in Francia il centrista senza partito Emmanuel Macron, che pure rifiuta l’idea di reddito di cittadinanza, propone da parte sua un onerosissimo raddoppio del già generoso “reddito di solidarietà attivo”.

La politica in caccia di voti gioca con le parole: infatti il reddito di cittadinanza non è affatto il reddito minimo, ed è una panzana che in tutta Europa ci sia il reddito di cittadinanza tranne che in Italia e Grecia. Ma Forza Italia e Pd avevano sempre respinto come inattuabile la proposta pentastellata. Mentre adesso ai propri elettorati fanno capire che qualcosa di simile è in arrivo anche da parte loro.

IL TRASFERIMENTO UNIVERSALE
Quando si parla di reddito di cittadinanza s’intende un trasferimento universale e permanente a ogni individuo che rispetti certi requisiti di appartenenza a una comunità, senza limitazione connessa a condizione economica e senza obbligo di ricerca e accettazione di lavoro, o di formazione obbligatoria.
Una cosa simile non è praticata in nessun paese al mondo tranne in Alaska, dove è per altro tra i 100 e i 200 dollari al mese ma coperti dalle royalties petrolifere. Ed è appena partito un esperimento limitato a 2 mila disoccupati in Finlandia, meno di un centesimo del totale dei disoccupati nazionali, come test per verificarne il risultato. 

CONDIZIONI DIVERSE
Cosa del tutto diversa è il reddito minimo, o garantito. Con questa formula s’indentificano forme d’integrazione al reddito entro una certa soglia, per coloro che, in età di lavoro e lavorino o meno, risultino sotto quella certa soglia. Ogni nazione prevede condizioni diverse, a seconda del carico familiare, e con diversi obblighi di formazione e relativi alle proposte di lavoro ricevute. In Germania il pacchetto Hartz IV accorpò diversi sussidi precedenti in un sussidio che è erogato a individui tra i 15 e i 67 anni, è intorno ai 400 euro mensili, ma chi lo percepisce non può rifiutare il lavoro offertogli dall’Agenzia Federale del Lavoro: se rifiuta due volte il sussidio scende, e alla terza si perde del tutto.
Si restrinsero così i sussidi più generosi precedenti per evitare che in Germania alcuni milioni di persone finissero per abituarsi alla dipendenza dall’assegno pubblico. 
In Francia, la RSA che ora Macron intende raddoppiare ha sostituito il precedente reddito minimo d’inserimento e l’indennità di congedo parentale. Non è incondizionata: decresce all’aumentare del reddito ma è generosa, e costa già circa 12 miliardi di euro l’anno visto che si azzera solo a partire da un reddito individuale di 15 mila euro, e per le coppie a 30 mila cumulati.

I COSTI
In Italia la proposta di reddito di cittadinanza dei 5 Stelle in realtà lo è a metà. Prevede un reddito minimo di 800 euro al mese per i residenti in Italia d 2 anni, ma è ben al di sopra della soglia di povertà assoluta, che per un solo componente di nucleo familiare nel centro Italia per l’Istat era di 636 euro nel 2016. La proposta grillina non contempla soglie patrimoniali e mescola schema individuale e familiare, né prevede offerte formative o di reinserimento nel tessuto produttivo. E costerebbe in questo modo la bellezza di 16,6 miliardi. Che si aggiungono ai costi degli strumenti attuali di lotta alla povertà.
Le coperture sono state sempre indicate fumosamente. Parlando di “tassare le piattaforme petrolifere, combattere il gioco d’azzardo e la speculazione finanziaria. Siamo di fronte a una nuova lotta di classe”. 

DIPENDENZA INCONDIZIONATA
No, siamo di fronte alla dipendenza incondizionata verso lo Stato per 7-8 milioni di individui, neanche concentrata sui 4,6 milioni di poveri assoluti dell’Italia 2016.
Delle due l’una: o s’introducono integrazioni al reddito sotto la soglia della povertà assoluta condizionate energicamente al reinserimento lavorativo, oppure una simile misura va attuata disboscando tutte le forme di assistenza diretta, accesso ai servizi pubblici preferenziali e integrazione al reddito previsti dal nostro ordinamento, statali nonché di ogni Ente Locale italiano. 
Non abbiamo ancora i particolari della proposta del centrodestra, né di quella renziana. E tuttavia gli annunci non fanno immaginare molto di buono. L’attuale Sostegno per l’Inclusione Attiva voluto dal governo Renzi non è un reddito di cittadinanza né un reddito minimo, è una misura di contrasto alla povertà che prevede l’erogazione di un beneficio a famiglie disagiate nelle quali almeno un componente sia minorenne, oppure sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata. Ed è condizionata a un progetto di attivazione sociale e lavorativa, a soglie patrimoniali e al non beneficio del sussidio di disoccupazione, con un costo di 750 milioni nel 2016 e superiore al miliardo nell’anno in corso.

LA VIA LIBERALE
La via liberale è un’altra, radicalmente diversa. Quella dell’imposta negativa proposta da Hayek e Milton Friedman. Ha il vantaggio di non azzerare l’incentivo al lavoro, e dell’automaticità senza test e verifiche delle condizioni di ciascuno. Essa è volta a determinare un corrispettivo monetario conferito all’individuo che sia sotto la soglia dell’incapienza fiscale (8mila euro per il lavoratore dipendente in Italia), ma intermedio tra la sua soglia di reddito reale percepito e quella dell’incapienza. Se il mio reddito è di soli 400 euro al mese cioè di 4.800 euro l’anno e l’aliquota dell’imposta negativa è del 70%, allora lo Stato mi integrerà con il 70% dei 3.200 euro mancanti all’incapienza, cioè con altri 2.240 euro. E avrò un reddito di 7.040 euro l’anno. Disboscando però tutte le altre non risolutive misure di sostegno al reddito oggi presenti in Italia pari a oltre l’1,5% del PIL, senza cervellotici controlli amministrativi a cui la PA italiana si è sempre mostrata impari, e senza furberie perché il tutto avverrebbe digitalmente secondo dati dell’Agenzia delle Entrate. E, soprattutto, senza dipendenze di massa dallo Stato. 
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