Comportamenti social/Paradossi Facebook, le regole anti-abuso difficili da applicare

di Giuseppe A. Veltri
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Martedì 23 Maggio 2017, 00:48
Sono divenute di dominio pubblico le linee guida che Facebook dà ai suoi moderatori per controllare e filtrare il contenuto che viene postato sulla sua piattaforma. Si tratta di una enorme quantità di materiale che cerca di dare indicazioni su come affrontare temi come violenza, terrorismo, pornografia, razzismo e molto altro. Leggendo queste linee guida vengono fuori regole sensate e altre meno.

Ad esempio, un post che contenga «Trump deve morire» viene cancellato perché le figure di autorità sono tutte da proteggere. Se invece qualcuno scrive minacce generiche del tipo «Picchiate i bambini grassi» allora il messaggio è permesso perché ritenuto generico. Tutte le minacce considerate non credibili e generiche sono permesse o segnalate come “disturbing” ma non cancellate. La ragione, secondo Facebook, sarebbe che molte persone scaricano la loro frustrazione online in minacce che però non sono reali. Chiunque abbia più di centomila persone che lo seguono viene considerata persona di profilo pubblico e quindi meno tutelata di utenti normali. Molto criticate sono state le linee guida nei confronti degli abusi sui minori.

Secondo tali linee guida, atti di bullismo o abuso fisico non di natura sessuale non devono essere cancellati se non vi è un elemento sadistico e un aspetto celebratorio. 
Il punto è che Facebook ha un compito molto difficile: gestire il contenuto prodotto da circa due miliardi di utenti con tutta la diversità umana presente, sinora nessun algoritmo si è rivelato efficace. Nei documenti venuti in possesso del Guardian, i moderatori di Facebook si lamentano di come siano sommersi dai contenuti e spesso dell’essere costretti a fare una scelta in pochi secondi. Ne viene fuori una immagine in cui Facebook concede molta libertà di contenuto e allo stesso tempo far sentire al sicuro i propri utenti, entrambe le cose sono mirate a mantenere la base di utenti. Si tratta di una piattaforma che rivendica di non essere un editore perché in quel caso sarebbe soggetta a diverse leggi e regolamentazioni sul contenuto messo online.

Vi è preoccupazione all’interno di Facebook sul come gli utenti hanno iniziato a utilizzare la piattaforma social. Altri “fondatori del web”, come Evan Williams di Twitter, hanno dichiarato la loro delusione su come il mondo online non abbia portato a un miglioramento netto delle nostre democrazie e disatteso le loro aspettative. In questo senso Facebook rappresenta un esempio di tale disillusione. Questo social media è diventato la trasposizione online delle nostre società con tutti i suoi problemi. A dire il vero, non pochi scienziati sociali avevano avvertito dell’errore di credere che una soluzione tecnologica potesse cancellare dinamiche sociali e psicologiche vecchie come le prime comunità umane. Tutto ciò non vuol dire considerare il web un fallimento ma piuttosto essere maggiormente realisti e meno feticisti su come possa aiutare le nostre democrazie.

La presenza globale di Facebook ha reso potentissima una compagnia privata ma l’ha anche esposta alla complessità sociale umana, inclusi i suoi lati più oscuri. Oggi la suggestione è che governare i processi sociali su Facebook assomiglia sempre più che al governare un paese. Forse per questo c’è chi crede che Mark Zuckerberg voglia entrare in politica dopo aver pubblicato un documento che si potrebbe definire un manifesto lo scorso febbraio parlando proprio di questi temi. Prima però, dovrà dimostrare che può governare con successo il mondo di Facebook non come impresa ma come comunità.
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