L’alibi cinquestelle/ Il fantasma dell’onestà che paralizza la Capitale

di Carlo Nordio
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Venerdì 23 Settembre 2016, 00:05
Tutti conoscono il paradosso di Epimenide di Creta. «Io – sosteneva il filosofo scrittore cretese – dico sempre e solo bugie». Il che è assurdo. Perché, o l’affermazione era anch’essa falsa, e allora qualche volta il cretese diceva la verità; oppure era vera, e allora, proprio perché era vera, smentiva sé stessa.

La tesi del sindaco Raggi di ritirare la candidatura di Roma perché offrirebbe l’occasione alle corruzioni e agli sprechi, è un paradosso analogo. Purtroppo esso non si esaurisce in un esercizio dialettico, perché vulnera la credibilità del Paese e offende i cittadini, soprattutto i romani. Ma è anche un assurdo logico, perché contraddice i postulati della stessa protagonista, la quale si era candidata con la promessa di intraprendere un’amministrazione onesta. Infatti delle due l’una. O la Raggi ritiene, come par di capire, che sia oggettivamente impossibile operare a Roma senza commettere qualche odioso reato. E allora non doveva promettere niente, o meglio, doveva promettere di non far niente. Oppure si dichiara incapace, lei, di evitare l’illegalità, e allora anche la sua onestà diventa inutile. In entrambi i casi, vi è un’impotente rassegnazione a una inerte, inevitabile decadenza.

A parte la sua illogicità, questo atteggiamento è davvero singolare. Un sindaco, soprattutto dopo le riforme degli anni passati, possiede tutti gli strumenti preventivi e repressivi per evitare tanto la corruzione quanto gli sprechi.

Individuando le competenze, semplificando le procedure e vigilando con diligenza, il primo cittadino può benissimo controllare tanto la correttezza delle aggiudicazioni degli appalti quanto la loro perfetta esecuzione. Non solo. Valendosi della collaborazione dell’Anac può individuare, e se necessario sventare tempestivamente, tutti i tentativi di interferenze anomale e di cointeressenze sospette. È vero che l’esordio dei rapporti tra la Raggi e il dottor Cantone è stato, certo non per colpa di quest’ultimo, quantomeno infelice; ma l’incredibile vicenda della magistrata capo di Gabinetto è già dimenticata, e comunque non può compromettere, per il futuro, una collaborazione tra due organismi così importanti.

In conclusione, l’arsenale normativo e operativo a disposizione del sindaco era ed è tale da consentire di accettare la sfida anche con le più agguerrite e insidiose organizzazioni criminali. Certo occorre, come insegnava lo storico e politico inglese Edward Gibbon, l’intelligenza per capire, il coraggio per decidersi e la forza per eseguire. Il messaggio che arriva da questa rinuncia getta un’ombra funesta quantomeno sugli ultimi due requisiti.
Infine, e forse ancor più grave, è la fonte di questo messaggio. Pare infatti che la decisione sia stata presa, dopo mille esitazioni, a seguito di un’intimazione arrivata da Grillo. Una sorta di eterodirezione che mai si era vista negli annali della nostra pur disastrata politica. È vero che spesso, e forse sempre, le decisioni più importanti sono state prese fuori dalle assemblee legittimamente elette: il convento di Santa Dorotea, le segreterie particolari, via via fino alle aziende Fininvest e i relativi studi legali. Tuttavia mai si era arrivati al palcoscenico di un comico. È vero che al peggio non c’è mai fine. Questa, tuttavia, sembra la comica finale.
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